Chi pensava che il Consiglio federale precisasse, ancora prima di Pasqua, le sue posizioni sui rapporti con l’UE è rimasto deluso. Deluse sono rimaste anche le speranze che aveva suscitato l’intenzione di Ignazio Cassis di spostare le discussioni dal piano tecnico a quello politico. Perciò la Conferenza stampa tenuta dopo la seduta del governo non ha aggiunto nulla a quanto già si sapeva.
Si è quindi potuto dedurre che le trattative proseguono, ma che sostanziali progressi sull’avvicinamento alle posizioni svizzere non sono stati fatti. Quindi anche le posizioni di Berna sui tre temi «irrinunciabili», e cioè protezione dei salari svizzeri, aiuti statali alle aziende e questioni istituzionali non sono cambiate.
La situazione non manca di sollevare perplessità anche sul piano politico interno. Lo ha precisato anche il presidente della Commissione esteri del Nazionale, il quale ha poi aggiunto che i membri del governo devono smettere di passarsi la «patata bollente», ma sulla base delle richieste devono decidere modifiche all’accordo quadro, oppure – se del caso – avviare le trattative per nuovi accordi bilaterali. Ad ogni modo bisogna ora evitare un’eventuale «escalation» che porti a un peggioramento dei rapporti con il nostro principale «partner» commerciale.
Per questo, da parte di parecchi politici si teme che Bruxelles resterà inamovibile sulle sue proposte, per cui la Svizzera, magari anche con uno sforzo da parte di una maggioranza parlamentare, non supererà in seguito l’ostacolo della votazione popolare. Però, quale alternativa a una rottura degli attuali rapporti con l’UE, Berna non è ancora in chiaro su un eventuale «piano B». In genere si parte dal presupposto che gli attuali accordi bilaterali resteranno in vigore, ma non si sa quale potrebbe essere l’atteggiamento dell’UE di fronte a posizioni svizzere, come ad esempio quella che non voglia più applicare la libera circolazione delle persone.
Due motivi potrebbero determinare la posizione svizzera: gli accordi commerciali non favoriscono solo la Svizzera, ma anche la stessa UE. Inoltre l’asse dei grandi scambi commerciali si sta sempre più spostando verso l’America e l’Asia. Quello che però resta ancora un tema importante per la Svizzera è quello degli scambi finanziari con i paesi dell’UE. Qui la Svizzera non ha digerito la discriminazione subìta dalla borsa, dopo un inutile periodo di attesa. Comunque ha confermato la sua voglia di bilaterali nella votazione dello scorso anno sulla libera circolazione delle persone. Ma un’altra piccola arma in mano elvetica potrebbe essere quella del miliardo di coesione per i paesi dell’Est, che Berna tiene in sospeso.
Il tema di fondo resta però la ricerca di un vasto accordo generale. Tema sul quale si esprimono politici, economisti e anche qualche ex-funzionario federale. Tra questi raccoglie un certo consenso Michael Ambühl, già segretario di Stato e incaricato proprio delle trattative per i bilaterali II. Secondo Ambühl, la Svizzera non potrà più contare sugli attuali accordi bilaterali che subiranno inevitabilmente degli aggiornamenti.
In vista di questa «dinamicizzazione» degli accordi con l’UE appare inevitabile un progressivo avvicinamento al diritto comunitario, con eccezioni per i settori vitali, come la protezione dei salari e anche per taluni aspetti del diritto comunitario. In particolare Ambühl propone di non accettare un’istanza giudiziaria come la Corte europea. In caso di contrasti verrebbe però concesso a Bruxelles il ricorso a misure di compensazione, che sarebbero soggette al giudizio di un tribunale arbitrale.
Infine c’è anche chi pensa a un rilancio dell’idea dello Spazio economico europeo (SEE), idea comunque già bocciata nel 1992 in votazione popolare. Era la soluzione proposta allora a quegli Stati che non volevano un’integrazione politica in Europa. Eviterebbe la ripresa del diritto europeo, ma necessita dell’accordo di tutti i paesi dell’UE. Esigerebbe però una totale integrazione del mercato europeo e quindi potrebbe essere più vincolante dell’assunzione del diritto europeo, poiché prevede già l’accettazione di un’autorità di sorveglianza sovranazionale. Oggi l’idea non incontrerebbe molti favori in Svizzera e forse anche tra i membri dell’AELS, di cui la Svizzera è membro.
Un’altra idea, che per il momento sembra però utopica, è quella di un vasto accordo di libero scambio, sul tipo di quello concluso dalla Gran Bretagna. Anche in questo caso è esclusa l’assunzione del diritto europeo. È più moderno di quello concluso dalla Svizzera già nel 1972. Ma la Svizzera è più strettamente legata da altri accordi che la Gran Bretagna (libera circolazione, Schengen/Dublino) che completano gli accordi bilaterali.
Qualora un accordo sui punti controversi dell’accordo quadro non fosse possibile, l’alternativa migliore per la Svizzera sarebbe un aggiornamento e un approfondimento degli accordi bilaterali, che non escludano comunque una certa ripresa del diritto europeo, per evitare eccessivi ostacoli commerciali.