L’altra faccia di Seattle

by Claudia

Reportage - Una città rinata dalle proprie macerie più e più volte

Per cominciare bisognerebbe evitare di confondere Washington D.C. con lo Stato di Washington, di cui Seattle è la capitale, nel freddo nord-ovest Pacifico, al confine con l’Oregon e a un tiro di schioppo dal Canada. Insomma esattamente dall’altra parte degli Stati Uniti. Per inquadrare meglio il contesto, tra le lande desolate di Twin Peaks.
Forse ha origine proprio da qui, da questo frequente equivoco di geolocalizzazione, il fatto che Seattle sia la più ignorata tra le grandi metropoli americane, di rado menzionata come località turistica. E a torto, come vedremo. È come se a Seattle non succedesse niente dal 1994, l’anno in cui morì Kurt Cobain; certo, lo strascico del grunge, la più grande rivoluzione musicale che il mondo abbia visto negli ultimi trent’anni, è ancora evidente. Ma Seattle, per molti, è ancora quella cosa lì: la mecca del rock decadente, le camicie di flanella, le rockstar morte anzitempo. Eppure molto è accaduto da allora, complice il fatto che questa città è rinata dalle proprie macerie più e più volte. Macerie nel vero senso del termine. Il suo destino è stato plasmato da una serie di calamità naturali − terremoti, inondazioni, grandi incendi − ma soprattutto da colline in frantumi. Attraverso un lungo processo denominato regrade, a cavallo tra Ottocento e Novecento, alcuni dei colli sui quali sorge la città furono letteralmente abbattuti, attraverso un’allora innovativa tecnica a idrogetto. Da qui presero vita alcuni degli attuali quartieri centrali della città e i detriti furono utilizzati per realizzare il Waterfront, diciamo il lungomare, anche se il Puget Sound non è esattamente un mare, bensì un complesso sistema di vie fluviali e Oceano Pacifico.
Seattle si vanta di sorgere su sette colli come Roma. Che la collina sia l’elemento predominante è evidente già camminando nell’area centrale (Downtown). Risalendo dal Pier 67 su Wall Street, fino a incontrare la 1st Avenue, e poi ancora su fino alla 2nd e alla 3rd Avenue, nel pittoresco quartiere di Belltown, la fatica si sente. La salita è ripida, bisogna avere gambe buone. I Seattleite però ci sono abituati. La città è servitissima dai mezzi pubblici e l’opzione macchina nel centro di Seattle è poco conveniente oltre che decisamente meno divertente, specie se resti bloccato per ore sulla Interstate 5.
Da quei maledetti anni Novanta, tuttora cinicamente sfruttati con varie operazioni nostalgia sulla cultura grunge, Seattle ha attraversato varie vite. L’ultima è cominciata verso la seconda metà degli anni Zero e ha la forma di una gigantesca «A»: quella di Amazon. C’è un detto secondo cui «quel che succede a Seattle succede in tutto il mondo» e la ragione sta proprio in quella Big A di Jeff Bezos che, da piccola startup con una decina di dipendenti, si è espansa fino a raggiungere dimensioni monumentali.
Un’espansione che ha avuto inizio a livello locale, con una vera e propria colonizzazione di un’intera area: il quartiere di South Lake Union, ribattezzato oggi Amazonland. Un quartiere bigio, dominato da capannoni e parcheggi, su cui nessuno avrebbe scommesso un quarto di dollaro prima del dicembre 2007, quando Bezos annunciò il suo piano di trasferimento dalla vicina Bellevue. Oggi percorrendo l’intera area tra Eastlake e Aurora Avenue North, ogni torre, ogni grattacielo dal design accattivante ha il marchio Amazon. Ed è impossibile imbattersi in un essere umano che non indossi il caratteristico badge blu o giallo.
Ma Jeff Bezos, a Seattle, Amazon l’aveva già inaugurata nel 1995. Era una microimpresa di e-commerce di libri. E c’era un motivo per cui Bezos aveva scelto Seattle: questa era la città di Microsoft, l’altro grande colosso tecnologico che, a sua volta, ci ha cambiato la vita, portando un personal computer in ogni casa.
Bill Gates e Paul Allen, allievi della stessa scuola a nord di Seattle − la Lakeside School − verso la fine degli anni Sessanta saltavano le lezioni di educazione fisica per trascorrere più tempo nell’aula computer. Qui, tra queste mura, posero le basi di quella che poi sarebbe diventata la Microsoft Inc. Ancora oggi l’azienda occupa l’area di Redmond, nell’area metropolitana di Seattle, e qui ovviamente la prima proposta ai turisti è un tour del Microsoft Campus. Bill Gates com’è noto lasciò la posizione di amministratore delegato Microsoft nel 2000. Ora è a capo, con sua moglie Melinda, della Bill and Melinda Gates Foundation, il colosso no profit spesso coinvolto nei grandi dibattiti internazionali, pandemia compresa. La fondazione ha sede nell’elegante e poliedrico quartiere di Queen Anne, a un passo da Space Needle, detto altresì «il fungo spaziale», e dal Seattle Center, il centro multifunzionale, principale attrazione della città.
Il cuore tecnologico di Seattle dunque pulsa forte e richiama ogni anno migliaia di lavoratori stranieri da tutto il mondo. Ma non si dimentichi che Seattle è anche la città delle caffetterie. Di nuovo qualcosa che poi ha avuto conseguenze nel resto del mondo: Starbucks. Nello storico Pike Place Market, il grande e pittoresco mercato alimentare all’aperto, sorge la primissima bottega di Starbucks. Il suo amministratore delegato di allora, Howard Schultz, decise che il rito del caffè doveva essere legato alla socialità, sul modello delle caffetterie milanesi (sì, avete letto bene). Fino a quel momento il caffè era prevalentemente to-go, da passeggio, comprato dai carretti ambulanti in bicchieri di carta. Schultz volle che le sue caffetterie fossero invece luoghi di ritrovo accoglienti dove si potesse anche sostare e chiacchierare. Un progetto che gli riuscì benissimo.
Ora ci vorrebbe troppo tempo per spiegare che in realtà quello di Pike Place non è il primo bensì il secondo punto vendita dell’originale Starbucks, ma poco importa. Anche per chi rifugge i classici riti turistici, agguantare un caffè fumante e sorseggiarlo passeggiando su Pike Street, fino ad arrivare al piccolo parco di Steinbrueck, è un’esperienza raccomandata, magari come ultima tappa dell’itinerario urbano. Anche perché da qui, proprio da qui, si staglia davanti agli occhi uno degli scorci più belli del Puget Sound: che, come dicevamo, non è un mare, ma molto gli somiglia.