La debolezza dell’Europa

Nei primi mesi di quest’anno, l’Unione europea ha vissuto alcuni episodi che mostrano quanto le è difficile imporsi come soggetto internazionale di primo piano. Ne citiamo tre: la visita a Mosca in febbraio di Josep Borrell, l’alto rappresentante dell’Ue per gli affari esteri e la politica di sicurezza, l’ormai celebre «Sofagate» avvenuto nel palazzo presidenziale ad Ankara, il 6 aprile, e l’insieme delle decisioni adottate per realizzare il piano delle vaccinazioni.

Borrell si è recato a Mosca con l’intento di migliorare le relazioni tra l’Ue e la Russia, che Mosca aveva danneggiato con le misure repressive impiegate nei confronti di Alexei Navalny, il principale oppositore di Vladimir Putin. Durante il suo soggiorno Borrell ha dovuto incassare due affronti diplomatici. Ha avuto notizia che la Russia aveva deciso di espellere alcuni diplomatici europei e durante la conferenza stampa con il suo omologo russo, Sergei Lavrov, si è sentito dire che l’Unione europea non è un partner affidabile sul piano internazionale. Episodi che testimoniano la poca considerazione che i dirigenti russi nutrono nei confronti dell’Ue e la loro continua azione tendente a creare divisioni all’interno dell’Unione.

Le immagini giunte dal palazzo presidenziale di Ankara, con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e il presidente del Consiglio europeo Charles Michel seduti uno accanto all’altro, mentre la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen veniva costretta prima a rimanere in piedi e poi ad accomodarsi su un divano, hanno fatto il giro del mondo, provocando l’indignazione di molti Governi e osservatori, nonché un’ondata di critiche, soprattutto in Europa. Sono immagini che, oltre alla tracotanza del presidente turco nei confronti delle donne e alla totale assenza di savoir-faire del presidente Michel, evidenziano come il vertice del potere europeo sia diviso, tra il Consiglio e la Commissione, e non è capace di mostrare quell’unità e quella fermezza che sono necessarie per svolgere con successo una missione.

La strategia infine adottata per garantire l’approvvigionamento dei vaccini contro la pandemia e per agevolarne la distribuzione ha messo in evidenza un buon numero di sbagli, inadempienze e disfunzioni. Il punto di partenza è stato buono, con la centralizzazione dell’acquisto dei vaccini. Si è voluto impedire che singoli Stati membri potessero accaparrarsi importanti quantità di vaccini a scapito di altri. L’applicazione pratica della strategia si è però rivelata insufficiente. Le trattative con le società produttive dei vaccini sono state lunghe e i risultati ottenuti non hanno impedito i ritardi nelle consegne. La Commissione europea si è ritrovata senza esperienza, in una situazione completamente nuova, decisa a spendere bene i soldi pubblici che deve amministrare. Ne è scaturita una gestione ordinaria, rispettosa delle procedure burocratiche e senza quello slancio e quella determinazione che la situazione richiedeva. Ci sarebbero voluti una buona dose di pragmatismo, la disponibilità di assumersi dei rischi, la capacità di superare gli ostacoli burocratici e l’appoggio dei Governi degli Stati membri. Condizioni che non si sono verificate e che hanno spinto alcuni Governi nazionali ad acquistare vaccini in modo autonomo, rompendo così la solidarietà iniziale.

Quali conclusioni si possono trarre da questi episodi? La prima riguarda le persone che occupano il vertice del potere europeo, la seconda l’organizzazione e il funzionamento di quello stesso vertice. I dirigenti europei vengono scelti dai Governi nazionali. Quasi mai si opta per le persone più capaci e brillanti, bensì si punta su quei nomi che non disturbano nessuno, che non creano opposizioni e che costituiscono una sorta di minimo comune denominatore. Nella sua già lunga storia la Commissione europea ha avuto una sola volta un presidente che ha saputo guidarla con mano forte e che è riuscito a farsi valere sul piano internazionale: il francese Jacques Delors, tra il 1985 e il 1994.

Gli attuali dirigenti dell’Ue: Charles Michel, ex primo ministro belga, Josep Borrell, ex ministro degli Affari esteri spagnolo e la tedesca Ursula von der Leyen, ex ministra della Difesa, hanno dimostrato di non essere in grado di gestire situazioni difficili e di non riuscire a far fronte ad autocrati come Erdogan e Putin. È difficile immaginare che con questi dirigenti l’Unione europea possa, un giorno, riuscire a diventare un forte attore geopolitico capace di affrontare l’intransigenza di potenze come la Cina e la Russia. La scelta dei dirigenti è un passo significativo che i Governi europei non dovrebbero compiere tenendo conto soltanto delle loro rivalità interne.

La seconda conclusione che conviene trarre concerne il funzionamento delle principali autorità europee. La prima istituzione che viene chiamata in causa è il Consiglio europeo. Per soffocare le divergenze e per non creare spaccature, le principali decisioni del Consiglio vengono prese all’unanimità. Ciò significa che ben pochi sono i passi che si possono compiere. Perdipiù il «Sofagate» di Ankara ha mostrato anche l’assenza di armonia tra la Commissione e il Consiglio, ossia tra due istituzioni che dovrebbero lavorare fianco a fianco, senza nessuna rivalità. Per essere migliorata, la situazione richiederebbe lo snellimento del vertice della piramide del potere europeo. Per esempio rinunciando al voto all’unanimità e optando per il voto a maggioranza qualificata e a maggioranza semplice in seno al Consiglio europeo. Oppure dando più possibilità d’azione alla Commissione europea, che dovrebbe essere guidata dalle persone più capaci. Questi passi, e probabilmente anche altri, sono necessari se si vuole raggiungere una maggiore coesione istituzionale, politica e se si vuol dare più forza all’Ue.

Related posts

Uno spazio di libero pensiero in tempi bui

La fine dell’Europa americana

Perché Trump mira al Canale di Panama