Questione palestinese: una nuova dimensione

by Claudia

È la scintilla che farà scoccare il grande incendio? Di certo ci sono elementi nuovi nel conflitto che oppone palestinesi ed ebrei, riemerso in seguito alle proteste contro il previsto sfollamento di un certo numero di famiglie palestinesi da Sheik Jarrah, un sobborgo settentrionale di Gerusalemme, e ai tafferugli tra forze dell’ordine israeliane e giovani palestinesi sulla Spianata delle Moschee, sempre a Gerusalemme. Il lancio di razzi dalla Striscia di Gaza da parte di Hamas e altri gruppi armati stupisce ma non troppo, è un elemento ricorrente quando la tensione si alza oltre il limite (e può essere conseguenza di calcoli politici, vedi Raineri a pag. 33), per quanto la cifra di 1600 missili nei primi tre giorni, di cui il 10 per cento non è stato intercettato dal sistema anti-missili israeliano, ci fa capire non solo che Hamas ha ricostituito il suo arsenale dopo la guerra del 2014, ma che ha incrementato la potenza di fuoco (nel 2014 in oltre 50 giorni ne vennero sparati 4500). L’elemento però più preoccupante è che in una ventina di località israeliane vi siano stati scontri fra civili estremisti arabi e israeliani, con incendi e devastazioni. E non cessano. Significa che il livello di frustrazione e di conflittualità interno allo Stato israeliano (gli arabi sono il 20 per cento della popolazione) è tale da poter sconfinare in rivolta e anarchia.
Da anni molti leader israeliani mettono in guardia che l’irrisolto conflitto israelo-palestinese potrebbe alla fine portare a combattimenti all’interno dello Stato ebraico, e questo è quanto sta capitando adesso, quello che macerava sotto la superficie ora sta esplodendo, è una situazione completamente nuova, ha detto Tzipi Livni, ex ministro degli esteri israeliano citata dal «New York Times». In sostanza, secondo questa lettura la politica del premier Netanyahu (che ha continuato ad incoraggiare la costruzione di insediamenti ebraici illegali in territorio palestinese) unita alla strategia dell’ex presidente americano Trump di isolare i palestinesi favorendo la normalizzazione delle relazioni diplomatiche fra Israele e alcuni paesi arabi, non solo è fallita ma ha pure esacerbato la situazione. Dalla comunità internazionale sono giunti appelli a ridurre la tensione, anche da parte statunitense, forse nella speranza che questo scoppio di violenza si estingua presto, come altre volte in passato. Ma l’impotenza è generale. Israele ha ammassato truppe e carri armati al confine con Gaza e minaccia un’invasione, e nessuno potrebbe fermare il suo esercito. Come nessuno ha davvero una ricetta, un’idea su come far ripartire dei veri negoziati di pace fra israeliani e palestinesi, fermi ormai dai tempi di Obama. Non ci sono leader riconosciuti in Israele che abbiano la forza per porre di nuovo al centro del dibattito la questione palestinese, mentre in questi anni Netanyahu ha preferito soffocare e rimuovere  il problema. I paesi arabi possono anche essere meno ostili verso Israele, ufficialmente o nei fatti, per cui Israele non percepisce una diretta minaccia esterna, ma l’estensione di rivolte spontanee e di scontri fra civili arabi ed ebrei mostra in questo momento che per lo Stato ebraico il nuovo pericolo generato dall’annoso conflitto con i palestinesi è una destabilizzazione interna. 

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