«Abbiamo soltanto la nostra bellezza, dobbiamo lavorare con quella».
Tom si sentì in dovere di ripetere le parole di Betta, scelse un registro basso, uno sguardo stralunato, un’ intonazione interrogativa. Betta non abbassò gli occhi e per qualche secondo restarono così, fermi, zitti, guardandosi, mentre quella frase echeggiava fra loro, grave.
Irreparabile.
«Ti fai scopare da quel vecchio», disse Tom.
Non era una domanda. Non ci fu perciò altra risposta che una porta sbattuta.
Appena fuori Betta si impose di camminare con foga, come se Tom la seguisse dall’alto di un drone e potesse vederla e sentirsi in colpa. Si ritrovò presto stanca e lontana da casa.
Era uscita come gettandosi da una finestra. Non aveva la borsa. Niente soldi, documenti, spazzola, rossetto. Niente. E soprattutto niente telefono.
Si percepì come un corpo nudo e vulnerabile. E le scoppiò dentro la paura , quella paura che la rabbia per l’insulto di Tom aveva momentaneamente contrastato. Qualcosa era accaduto che la chiamava fuori da se stessa, un desiderio acuto di dire fino in fondo, di essere ascoltata, di essere capita.
Tornò verso casa lentamente, per la strada più lunga, provando a disciplinare il battito cardiaco e una vertigine di pensieri mozzi, incongrui, disordinati. Le pareva di non ricordare se aveva poi comperato o no quel prosciutto di seconda scelta, in offerta speciale, che Sara avrebbe schifato irritandola, e nello stesso tempo e con lo stesso peso le tornavano in mente brandelli di monologhi che aveva imparato a memoria nel passato, O’Neill, Ibsen, Brecht…tutte composizioni da provino, recitate per essere assunta al cielo delle attrici, per essere scelta e le pareva che tutta la sua vita non fosse mai stata ancorata ad altro che a quella necessità primitiva e scandalosa: che qualcuno ti tiri fuori dal mucchio. Che ti notino, che ti vogliano, che ti preferiscano.
Erano stati dunque questo i suoi primi quarant’anni?
Era nel mezzo del cammino dell’esistenza umana e non sapeva niente. Nemmeno se era mai stata davvero innamorata di Tom. O di Paolo prima di Tom. Non sapeva se amava davvero il teatro, se amava il cinema, se davvero, come ripeteva spesso, trovava la sua verità soltanto quando si consegnava alla finzione, oppure se erano anche queste chiacchiere seduttive, autoritratti compiaciuti, compitini da salotto.
Non sapeva se amava, se aveva mai amato qualcosa o qualcuno. Sua figlia? Forse nemmeno lei. Quando era piccola sognava che crescesse in fretta, che la liberasse dalla responsabilità di accudire una bambina, e adesso non vedeva l’ora che avesse vent’anni, che se ne andasse…
Arrivò a casa dopo un tempo che non avrebbe saputo misurare (il suo orologio era il telefono), davanti al portone chiuso realizzò di non avere le chiavi.
Spinse il pulsante del citofono e non si stupì che nessuno rispondesse. Tom non era il tipo d’uomo che dopo un litigio resta fermo, a far decantare la violenza del diverbio, a prendere le distanze, ad apparecchiare una tregua, se non proprio una pace. In questo si somigliavano, anche se nessuno dei due l’avrebbe mai ammesso. Prendevano fuoco sfregandosi l’uno contro l’altra, poi andavano a bruciare ciascuno per conto suo, finché la fiamma si estingueva naturalmente.
Rassegnata, stanca, Betta sedette sul marciapiede. Le gambe incrociate, la schiena contro la facciata del palazzo. Chiunque avrebbe potuto buttarle in grembo qualche moneta. La tuta vecchia con cui era uscita un incalcolabile numero di ore prima completava perfettamente il quadro. La tuta vecchia, le vecchie Reebok senza lacci. Chiuse gli occhi. Appoggiò il palmo delle mani sulla pavimentazione sconnessa, polverosa, irta di piccoli detriti. Formulò due aggettivi: sporca, povera.
Provò a sistemarseli addosso. Stai cadendo, disse a sé stessa. Inventati qualcosa, un colpo di reni che ti riporti alla superficie. Perché è in superficie che bisogna vivere, nuotare in branco, seguire la corrente, asciugarsi al sole delle spiagge. Tom ci riusciva: non aveva reagito alla parte più importante del suo discorso. Non abbiamo talento, è per questo che siamo poveri, perché abbiamo scelto le luci della ribalta e non abbiamo niente di speciale da mostrare, niente che possa rendere più felice chi sta in platea, più felice più consapevole più forte.
Era questa la verità rivelata. E lui non se ne era accorto. Si era rifugiato nella gelosia. Siamo dei falsari, caro Tom e la povertà è la pena. Betta si alzò rinfrancata dalla sua stessa disperazione, le pareva di aver steso davanti a sé un lenzuolo bianco, su cui le parole che Tom non aveva ascoltato si erano incise come stimmate.
Con la certezza della pena, coscientemente, si spazzolò la polvere dai calzoni e si avviò verso via Giulia, dove abitava «il vecchio».