Marziale, un comune bevitore

by Claudia

Vino nella storia - Diversi gli epigrammi che il poeta dell’antichità dedicò alla divina bevanda grazie alla quale cercava un po’ di ristoro

Marco Valerio Marziale, a nostro avviso, come il buon vino migliora invecchiando e lo troviamo quanto mai moderno e attuale. Nei suoi versi, contenuti in una raccolta di quindici volumi di epigrammi (che stiamo rileggendo dopo anni) – alcuni dei quali permeati di volgarità, oscenità e grossolanità – Marziale contrappone alla letteratura dell’epoca, ricca di retorica, una poesia realistica, che ha per oggetto l’uomo e la vita nella sua molteplicità. Egli è infatti un attento, implacabile e spregiudicato osservatore della variopinta galleria di tipi umani che incontra nelle case dei suoi patroni, nella Suburra, nelle terme, nei circoli culturali, nei lupanari, nei mercatini popolari frequentati dai vari ceti sociali. 

A dimostrare l’attualità della sua poesia basterebbe sostituire affaristi, adulatori, frivoli adulteri, scrocconi e cacciatori di testamenti, con il nome di qualche personaggio dei giorni nostri.
Ma la nostra è una rubrica dedicata al vino, quindi è del rapporto che il poeta iberico ha con la bevanda sacra a Bacco che dobbiamo parlare.
A Marziale capita spesso di bere vino, che lui apprezza molto, ma il suo rapporto con la bevanda non è sereno e distaccato come ad esempio era per Orazio: dovendosi accontentare, perché le sue finanze non lo permettevano, non sempre il poeta poteva permettersi prodotti di alta qualità. Era però dotato di un palato abbastanza raffinato: pure lui si era fatto una personale graduatoria dei vini di qualità dell’epoca (che coincide più o meno con quella tramandata da Plinio il Vecchio) e che ci illustra nel XIII libro degli Epigrammi (da CVI a CXXV) e sono circa una ventina.
Per questo a uno dei suoi cafonissimi patroni, che ha avuto sfacciataggine di servirgli un pessimo vinello di Veio, mentre per sé si era versato un pregiato Falerno, dalle vigne del monte Massico, dice con comprensibile stizza: «A me versi del vino Veientano, e tu bevi del Massico. Preferisco annusare la tua coppa, piuttosto che bere dalla mia».
Siccome Marziale è soprattutto un buongustaio, non ammette né accetta ignobili «pastrocchi» che qualche patrone fa con il vino allo scopo di non doverne sprecare nemmeno un goccio. Si tratta dei classici nuovi ricchi, rozzi e avari, che di vino ne capiscono poco, come nel caso di questo sciagurato Tucca: «Che gusto ci provi, Tucca a mescolare al vecchio Falerno quel mosto contenuto in anfore vaticane? Che merito hanno presso di te, dei pessimi vini? E che male ti hanno fatto degli ottimi vini? Per noi poco male; ma è un delitto guastare il Falerno, propinando a quel vino campano dei veleni mortali».
E ancora rivolto a un certo Cotta: «Mentre tu trinchi e trinchi in grandi coppe color ametista, e sei brillo di vino Opimiano, a me offri soltanto un vinello Sabino troppo giovane, e intanto Cotta tu mi dici “Vuoi bere in una coppa d’Oro?”. E chi mai in una coppa d’oro vuol bere vini indigesti». E invece a un certo Pollione, il poeta rimprovera la sua tirchieria dicendo: «Quando hai bevuto per l’intera notte, prometti mari e monti, ma al mattino tu non dai una cicca. Pollione ti prego bevi soltanto di mattina». Ma per Marziale il vino è anche la miracolosa pozione che serve a superare la paura della morte, giacché solo con l’ebbrezza ottenuta dal dono di Bacco, si può ricavare giorno per giorno la spinta per continuare a vivere, come suggerisce la vista del Mausoleo di Augusto, la monumentale tomba dov’è sepolto il primo imperatore: «Versa Callisto, due sestanti di Falerno, e tu Alcimo scioglici dentro le nevi conservate per l’estate. Le mie chiome stillanti siano impregnate di cardamomo e le tempie si pieghino sotto ghirlande di rose. Mostrandoci che anche gli dèi possono morire, il Mausoleo così vicino, ci ingiunge di vivere».
Alle volte anche al più assatanato bevitore, con tutto l’amore che porta per il vino, può capitare di trovarsi di fronte a una valida ragione per non bere. Ecco cosa capita al poeta di fronte a una coppa del mitico Setino di Sezze, offerto da un ospite che gode fama di jettatore: «Tu ci fai sempre servire, è vero, del Setino o del Massico, Papilo, ma corre voce che i tuoi vini non siano poi così buoni. Si dice che con queste bottiglie tu sia rimasto vedovo quattro volte. Io non ho paura. Io non ci credo Papilo. Ma non ho sete».
Nella poesia di Marziale, si avverte la mancanza dell’amore autentico per una donna; la vita anche in questo gli fu amara, all’amico Istanzio (VIII,73) egli dice: «Se tu vuoi dare vigori di ispirazione alla mia poesia e richiedi dei versi che rimangono eterni, dammi un grande amore: Cinzia fece di Properzio un poeta amoroso, tale fu Licoride per Gallo, la formosa Nemesi per Tibullo, Lesbia per Catullo».
Nel vino, Marziale, stanco dell’opprimente e insonne vita romana, specie negli anni dell’incipiente vecchiaia, cerca un po’ di ristoro (1,71) «Cinque bicchieri si bevono per Levia, otto per Giustina, quattro per Lica e quattro anche per Lide e per Ida tre. Tanti bicchieri siano per ciascuna quante sono le lettere del nome, e poiché nessuna d’essa viene meco, o sonno, vieni almeno tu da me».
Anche allora come accade oggi, capitavano annate cattive, dove la pioggia rovinava le vendemmie, molto attento a questo Marziale scrive: «Flagellate da continue piogge, le vigne sono fradicie d’acqua. Non potresti neanche volendolo, oste vendere vino annacquato». Ma spesso più che vino annacquato il nostro bevitore si trova di fronte a un produttore che non esita in una cattiva annata a produrre del vino (IX,98): «La raccolta delle uve, Ovidio, non dappertutto è stata scarsa. Le grandi piogge sono servite. Coràno ha raccolto cento anfore di acqua».
Anche duemila anni fa non tutti, esattamente come oggi, potevano degustare vini pregiati; chi amava rifarsi la bocca di tanto in tanto con un goccetto senza nemmeno troppe pretese, doveva comunque fare i conti con la tasca (XII,76): «Un’anfora di vino pagata è venti soldi, un moggio di grano appena quattro. Ubriaco e a pancia piena il contadino è ora senza un soldo».
Quindi anche duemila anni or sono, gli osti esponevano i prezzi delle varie tipologie di vino. Pare che a quel tempo la Campania fosse la regione vocata per l’eccellenza dei suoi vini e che Pompei, prima che il Vesuvio la sommergesse sotto una spessa coltre di lava, cenere e lapilli, fosse il centro della mondanità.
Per farvi capire quanta importanza avesse il vino, una volta rimossa «parte» del materiale vulcanico, sono venute via via alla luce quasi 300 tra taverne e osterie. Proprio sull’intonaco esterno di una di queste è venuto alla luce un «Graffito»: «Kalòs Hedonè salute a chi legge. Hedonè dice: qui si beve con un asse a testa, con due assi berrai meglio, con quattro assi avrai del vino Falerno».
Marziale morì nella sua città natale nel 104 d.C.