La retrospettiva su Gustave Caillebotte (1848-1894), che chiude il ciclo sugli impressionisti iniziato dalla Gianadda nel 1993, presenta novanta quadri dipinti tra il 1870 e il 1894 provenienti da musei pubblici e collezioni private europei. Naturalmente sono solo una selezione tra le circa cinquecento tele che il pittore francese ci ha lasciato nella sua pur breve vita ma sono comunque rappresentativi di una produzione artistica sulle orme dell’impressionismo parigino che nella seconda metà del XIX secolo rivoluzionò gli stilemi accademici.
Se noi passiamo in rassegna un elenco, anche solo mnemonico, di pittori impressionisti, rischiamo di non citare il nome di Caillebotte perché molto meno noto rispetto a Manet, Monet, Renoir, Degas, Cezanne, Pissarro, Sisley. Eppure nel 1876, alla seconda esposizione parigina delle loro opere, c’era anche lui perché faceva parte del gruppo che aveva deciso di abbandonare le rigide regole imparate nelle accademie di belle arti e che preferiva ritrarre la realtà en plein air lasciando pressoché vuoti gli atelier. Cavalletto portatile in spalla e colori a olio nei tubetti – le due novità pratiche appena inventate – partiva alla ricerca di scorci suggestivi nella sua città come si vede bene in Boulevard des Italiens (1880), oppure lungo la Senna come in La Seine à Argenteuil, bateaux au mouillage (1883) o nella campagna circostante come in La plaine du Gennevilliers (1888) o usciva nei suoi giardini a immortalare fiori e alberi; prediligeva i paesaggi ma non disdegnava autoritratti come Autoportrait au chevalet et aux pinceaux (1879) e ritratti che la mostra raduna in uno spazio apposito.
A differenza dei colleghi un po’ bohémien, lui non aveva preoccupazioni materiali perché proveniva da una famiglia agiata e viveva nella sua tenuta di Yerres a sud di Parigi. Aveva una laurea in diritto, si era dedicato all’ingegneria navale progettando lussuosi panfili e amava il giardinaggio, la filatelia, il canottaggio. Grazie all’amicizia con Degas però, era approdato al nuovo stile pittorico che propone una realtà vista attraverso gli occhi dell’artista, quindi non una rappresentazione oggettiva, ma che segue l’impressione soggettiva del momento, quella dell’attimo fuggente, a causa della luce, che muta continuamente la percezione dell’oggetto da ritrarre.
Gli impressionisti, e così Caillebotte, sono influenzati dalla fotografia e vogliono fissare l’istante come fa la lastra fotosensibile, ma con pennelli e colori, questi ultimi non mischiati alla ricerca della tinta giusta, ma accostati velocemente con contrapposizioni cromatiche efficaci. Il risultato è un’immagine un po’ sfocata, tanto che i primi critici bollarono le produzioni come opere ancora incomplete, bozze di impressioni personali; oltre che dal dipinto di Claude Monet Impression. Soleil levant, è da questo giudizio ostile che deriva il sostantivo «impressionismo» che ha dato il nome alla nuova corrente artistica.
Ciò che identifica però Gustave Caillebotte è la sua personale interpretazione dell’impressionismo, poiché è riuscito a coniugare il nuovo stile con alcuni insegnamenti accademici e con l’avvento della fotografia; infatti, in molte sue opere c’è il trionfo della luce e del colore secondo il nuovo corso pittorico ma con la solidità del disegno rifiutato dai compagni. Pur non essendo un impressionista puro, Caillebotte è annoverato tra i testimoni della metamorfosi artistica avvenuta nella seconda metà dell’Ottocento, quindi la Gianadda ha colto nel segno presentandolo al grande pubblico – lo dice il sottotitolo della mostra – come il più moderno degli amici parigini, in quanto comprese l’importanza della nuova tecnica fotografica nell’evoluzione della pittura. Diverse tele sembrano così pose fotografiche con il grandangolo e ritraggono la modernità che avanza, come in Le Pont de l’Europe (1876) o la quotidianità borghese e i lavoratori, come in Les Raboteurs de Parquet (1875) e in Veau à l’étal du boucher (1882).
Impressionista atipico, dicevamo, anche per le condizioni economiche che gli permisero di diventare mecenate e collezionista delle opere che i suoi amici meno fortunati non riuscivano a vendere; oggi buona parte di questa collezione, che alla morte di Caillebotte fu donata allo Stato, è visibile al Musée d’Orsay. Al contrario dei suoi colleghi che riscossero un grande successo con il passare degli anni, Caillebotte venne quasi dimenticato almeno fino a dopo gli anni Cinquanta del secolo scorso anche perché nessun suo lavoro faceva parte della donazione alla Nazione di cui sopra. La quasi totalità della sua produzione restò in famiglia e dunque poco esposta.
Ora a Martigny abbiamo la possibilità di rimediare e conoscere questo pittore che ha contribuito a scrivere una nuova pagina nella storia dell’arte.