La divina follia di Nijinsky

(…) quella terra di nessuno che è la vita dei folli. Rubando le parole conclusive di un articolo dedicato a Vaclav Nijinsky di Daniele Bernardi, scritto per la RSI, ritroviamo l’essenza di numerose riflessioni che formano l’anima del pensiero intellettuale e artistico che percorre molte sue creazioni. La follia che si impadronisce, la follia che annienta, la follia che nutre i sentimenti, la follia che accompagna la genialità e la grandezza, la follia che permea il sublime dell’arte. L’intimo tarlo di una passione che, come il tema della morte, permea la ricerca di Bernardi e la sua scrittura teatrale, come solista o in collaborazione con Opera retablO. Oggi si riflette in Io sono Nijinsky, spettacolo dedicato all’immenso, inarrivabile danzatore e coreografo russo di origine polacca che ha segnato il Novecento. Il dio della danza, come lo chiamavano, quel dio che è anche riflesso del dialogo con sé stesso e che traduce il dramma della follia di una vita dove la danza è strumento di una comunicazione potente, misteriosa, dissacrante. Poca danza invece fra le pagine del suo Diario ispiratore, ma molta umanità: disordinata, controversa, combattuta, dalle visioni premonitrici sui destini della terra.
Spunti a corollario di un testo esemplare che Bernardi cuce sulla vita di Nijinsky in uno spettacolo intenso e in un’attenta struttura drammaturgica che permette alla sua scrittura di essere chiara e aderente a una recitazione misurata per un personaggio complesso, affascinante, che conquista la scena con il suono aristocratico di parole scelte, efficaci e profonde come con l’adozione di simboli e colori, tra il bianco e il nero di una tipologia primordiale fino al rosso-sangue di una metafora catastrofica. Bernardi recita con piglio sicuro, le immagini del suo Nijinsky si adattano a movimenti che richiamano il Teatro Nô, il cinema muto, la provocatoria geometria della sua danza, catarsi di una ribellione interiore, assurda e graduale scomposizione di un pensiero delirante e malato per inquietanti scenari. Contribuiscono alla riuscita del progetto la voce fuori campo di Raissa Avilés, i costumi di Luisa Beeli e la complicità scenografica di Ledwina Costantini: dalla maquette della casa engadinese, nido di ultime lucidità, alla bianca pedana, ai pupazzi di un delicato e potente transfert simbolico per fatali e sconvolgenti presagi. Il percorso di una vita. Io sono Nijinsky per quest’anno ha concluso le sue repliche al Teatro Tan di Biasca. Da tenere d’occhio.

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