Un chevice all’italiana

Da giovane non amavo il crudo di carne o di pesce perché… mi piace la cucina. Come disse un sommo antropologo, Marcel Detienne, nel suo Dionisio e la pantera profumata: «Tra l’arrosto e il bollito, entrambi modalità del cotto, corre la stessa distanza che tra il crudo e il cotto. Allo stesso modo in cui il cotto distingue l’uomo dall’animale che mangia cibi crudi, il bollito separa il vero «civilizzato» dal villano, condannato alle pietanze alla griglia. Il bollito viene sempre dopo l’arrosto». Genio puro. Quindi per me la cucina era (ed è) cuocere qualcosa, mentre a mescolare ingredienti crudi, pure se viene buono, non è «la cucina».
Poi un giorno, a Londra, scoprii il ceviche, in un ristorantino peruviano. È una specialità dell’area pacifica dell’America latina, a base di pesce e/o frutti di mare, arricchito con aromi come prezzemolo, pepe, peperoncino, coriandolo, cipolla, salsa di olive e aglio. In sintesi, sono cubetti crudi o striscioline marinati in sale e limone o lime, arricchiti con profumi vari. In Perù il ceviche è stato dichiarato Patrimonio culturale nazionale.
Ne fui conquistato, perché… mi piacque la complessità. E anche la bellezza: la vera arte del ceviche sta nel disporre gli ingredienti sul piatto in modo elegante: difficile, ma di sicuro successo, dato che si mangia più con gli occhi che con la bocca, si sa.
Al di là del food design, non è difficile da preparare salvo questo problema: se lo marini troppo poco, resta crudo e poco saporito. Se lo marini troppo, il limone lo annienta. Dopo tanti tentativi, il mio standard è: non più di 8 minuti di marinatura, con abbondante succo di lime, non di limone, o – se ci sono – di limoni dolcissimi come quelli di Sorrento o altri simili. Solo se il pesce è grasso come anguilla o salmone arrivo a 12 minuti, ma ovviamente questi non li mescolo con gli altri pesci magri. Lo so, in genere lo si fa marinare più a lungo, ma il rischio di sentire solo il sapore del limone è tremendo.
Ne esistono altri tipi realizzati con carne o frattaglie, molluschi e crostacei, e accompagnati da funghi, pomodori, avocado, patate dolci, legumi, banana, manioca, mais tostato, peperoni e verdure in genere.
Tutto questo detto, il «mio ceviche» è fatto così come ve lo descrivo in queste prossime righe. Per le verdure, mondo e taglio a fettine sottili peperoni dolci e cipollotti, onnipresenti, poi taglio a julienne altre verdure tenere. Mondo e trito prezzemolo. In quanto all’aglio: io ne metto in abbondanza, ché mi piace, ma ognuno ne metterà quanto ne vuole. Poi spezzetto un po’ di coriandolo fresco: lo so a molti non piace, ma qui ci sta benissimo.
A questo punto, prendo un terzo di crostacei, vanno benissimo gli stra-classici scampi e gamberi, che poi apro in padella e lascio interi. Un terzo di molluschi come seppioline, calamari, capesante e un terzo di pesci, e in questo caso prediligo gallinella, rombetto, sogliole e altri, non uso invece pesci azzurri, che prevaricano. Ben mondati, li metto in freezer per 20 minuti, in modo che induriscano, li levo e con un affilatissimo coltello li taglio a fettine più sottili che riesco. Metto tutte le fettine, in un piatto piano, leggermente accavallate, cercando di disporle il più «elegantemente» possibile, insieme con le verdure. Aggiungo prezzemolo e aglio, sopra il coriandolo. Una spolverata di sale, meglio se Maldon, un’altra di buon pepe o di peperoncino, e infine spruzzo con abbondante succo di lime: 8 minuti di riposo e si va in tavola.

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