La voce dei muri che parla alla gente

by Claudia

Washington - Da capitale politica a museo a cielo aperto, dove l’arte popolare è oggi una risorsa sempre più importante

È il simbolo per eccellenza degli intrighi governativi, del potere esecutivo, delle influentissime lobby, dello scacchiere diplomatico. Eppure a Washington la giacca della capitale tutta pane e politica sta stretta, e parecchio.
Lasciate alle spalle le larghe strade di downtown – quelle che lambiscono i magnifici palazzi di istituzioni come la Casa Bianca, il Campidoglio, la Corte Suprema, gli Archivi di Stato, oppure la sontuosa Biblioteca del Congresso – lungo i sentieri meno battuti sorprende la bellezza di una città vibrante, ricca di arte e creatività.
Se da una parte, la capitale accoglie lo Smithsonian dal 1846 – la rete museale più grande al mondo – dall’altra, infatti, Washington non si limita a prendersi cura dei capolavori custoditi nelle eleganti gallerie cittadine, bensì accoglie nel cuore cementificato della città centinaia di murales che danno vita a un originale museo a cielo aperto. Tavolozze di pietra che raccontano con colori vivacissimi D.C. (Distretto di Columbia), – sigla con cui i locali comunemente chiamano la loro città – scandendo le storie dei personaggi più amati, delle leggende musicali, fino ad arrivare alle icone del movimento per i diritti civili narrate con gli spruzzi di colore di artisti affermati.
Come Shawn Perkins, The Plug, arrivato da Detroit nel 2009 per frequentare la prestigiosa Howard University: «Mi sono innamorato della città e ho deciso di restare». Soprattutto perché ha trovato terreno fertile per le sue creazioni. «Non c’è un altro posto come Washinton negli Stati Uniti» ci dice entusiasta, mentre ci accompagna in questo piccolo viaggio alla scoperta di graffiti e murales.
Da sempre questo tipo di arte pubblica ha rappresentato l’unica possibilità per molti professionisti di far sentire la propria voce, di raccontare le proprie storie. E in questi ultimi anni si sta assistendo a una vera e propria fioritura di murales, non più come «espressione di strada» ma come un’attività talentuosa alla quale è riconosciuto un valore artistico che va oltre le barriere sociali.
«La città è cambiata molto da quando ci ho messo piede la prima volta. A partire dallo sviluppo del panorama artistico. Quando sono arrivato, se non lavoravi in politica, o nella pubblica amministrazione ti sentivi un po’ fuori posto. Tutti, per generalizzare, avevano il classico lavoro d’ufficio dalle nove alle cinque. Ora però, anche i creativi si sono ritagliati un posto considerevole, facendosi notare sempre di più», ci spiega.
«In passato non c’erano così tanti murales. Il cambiamento è iniziato una decina di anni fa, con il grande boom edilizio. Ed è capitato un po’ come capita con una valanga di neve: un murales ha tirato l’altro; o meglio: una persona ha chiesto la realizzazione di una nostra opera, e gli altri, dopo averla vista e apprezzata, hanno a loro volta copiato l’idea. Così che la gente, a un certo punto, ha iniziato a commissionare lavori su interi spazi esterni, ma anche dipinti d’interno». Una diffusione contagiosa. «Penso che l’arte ispiri le persone e trasmetta anche buone vibrazioni. Non si sbaglia mai quando la si include nella quotidianità. E funziona: stimola la discussione».
Un paio dei lavori più recenti firmati The Plug si trovano sulle pareti dell’Union Market, il vivacissimo mercato coperto che ospita negozietti artigianali e ristoranti, nel cuore di NoMa, quartiere in rapido sviluppo, a meno di tre chilometri dal Campidoglio, a nord est. Il primo è coloratissimo, pregno di energie positive. «Si intitola Speak your dreams to existence, è un invito a dichiarare i propri sogni, a crederci finché non si concretizzino». Il secondo, invece, Power to the people’s pockets, è una vera e propria denuncia «contro le grandi corporation che tolgono potere di acquisto (e decisionale) alle persone del posto».
«Se volete davvero toccare l’anima di Washington – dice Shawn – non potete non andare in quartieri storici come U Corridor e Shaw». A tre chilometri dalla Casa Bianca, nel cuore del corridoio della cultura nera, pulsa Ben’s Chili Bowl, che dal 1958 accoglie stranieri e locali con il suo hot-dog affumicato. L’edificio del ristorante è decorato con i colori di Aniekan Udofia che ha ritratto alcune tra le figure più amate della comunità afroamericana: da Barack e Michelle Obama, all’abolizionista Harriet Tubman, fino a Prince.
Nella stessa area, il quartiere trendy di Shaw, è una vera e propria miniera per gli amanti dei murales. Nel celebre vicolo Blagden Alley, si affaccia un originale ritratto del jazzista-filosofo Sun Ra e della cantautrice Erykah Badu, firmato Aniekan Udofia. Love di Lisa Marie Thalhammer, artista LGBTQ, copre invece quattro grandi saracinesche. Lisa Marie è in assoluto una star social, onnipresente su Instagram. Sempre a Shaw, un murale Kaliq Crosby celebra le band musicali come i Junk Yard Band e i Soul Searchers di Chuck Brown, che hanno sviluppato la cosiddetta musica «go-go», un sottogenere funk nato proprio a Washington negli anni Settanta. Uno dei capolavori assoluti, poi, è incastrato tra la settima e l’ottava strada. Si tratta di un enorme tributo di Udofia al leggendario musicista Marvin Gaye, nato proprio a Washington.
Una tendenza che oggi trova persino il consenso delle istituzioni locali, le quali hanno infine abbracciato e assecondato questo tipo di espressione artistica. La sindaca Muriel Bowser, ad esempio, ha lanciato il progetto MuralsDC, creato per sostituire i graffiti illegali con progetti di rivitalizzazione creativa. Uno sforzo che mira a coinvolgere i giovani dando loro spazi di lavoro e fornendo strumenti sia pratici che teorici. «Queste iniziative sono fondamentali perché abbiamo bisogno di studi, luoghi in cui creare» sottolinea Shawn.
Ed effettivamente i murales continuano ad affiorare in ogni angolo. Anche il delizioso quartiere di Georgetown, nel quadrante nord ovest della città, sta collezionando la sua galleria all’aria aperta. L’ultima opera si chiama Alma Indigena ed è stata creata sulla popolare Wisconsin Avenue da Victor Quinonez. Si tratta di un potente tributo alla cultura nativa sudamericana con la rappresentazione di una indigena Wixárika.
Quella washingtoniana è oggi una comunità artistica dinamica, multietnica e multiculturale. «È la più fiorente che abbia mai visto e continuerà a crescere. Tutti gli artisti si conoscono. In fondo D.C. è abbastanza piccola, siamo uniti, ci scambiamo idee a vicenda». Il boom, ci dice Shawn, non è casuale. «Questo è uno dei posti migliori d’America al momento. Ad esempio, New York è sempre stata una città di artisti, là si trova tanta competizione. Qui, invece, l’ambiente è molto più piccolo, ci sono più opportunità per emergere».
Proprio come è successo a lui. Una delle soddisfazioni più grandi è arrivata lo scorso anno, durante la stagione delle proteste del movimento Black Lives Matter, contro le violenze della polizia nei confronti della comunità nera. «Ho realizzato un ritratto del congressman John Lewis, leggendario leader del movimento per i diritti civili degli afroamericani, che era appena spirato». L’opera è stata esposta per tre mesi al National Building Museum, una delle gallerie più importanti al mondo. «L’onore di tutta una vita».

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