Mentre in città si scatena la corsa agli ultimi regali, e nelle cucine fervono i preparativi per la cena della vigilia, una signora attende impaziente l’arrivo del figlio nel parco di Casvegno, a Mendrisio (che fa parte del complesso dell’Organizzazione sociopsichiatrica cantonale). La abbraccerà stretta facendole dimenticare i mostri che le tolgono sonno ed energie. Le racconterà di un mondo che non conosce più. La riporterà finalmente a casa. È da giorni che si prepara con cura. Ha scelto il vestito più bello. Si è pettinata. Ha messo in una piccola borsa una sciarpa rossa. Per lui. All’ultimo, però, una telefonata infrange tutti i sogni. «Un imprevisto… Sarà per la prossima. Buon Natale». Già, buon Natale, mentre solitudine e tristezza dilagano tra gli alberi e i vialetti vuoti.
A ricordare l’episodio è Giuseppe Mariconda, psichiatra del Luganese per decenni caposervizio della Clinica psichiatrica cantonale (Cpc), sempre in prima linea ogni dicembre. «Lavoravo spesso durante le feste», ci racconta. «Un periodo in cui si notava un aumento del malessere degli ospiti. Più in generale durante le festività molte persone conoscono un abbassamento del tono dell’umore. Ma mentre chi è inserito nella società può reagire, magari aderendo a varie manifestazioni di aggregazione, chi vive in istituto ha più difficoltà a farlo e si sente ancora più abbandonato. Se poi la rete famigliare non si attiva le giornate tendono a riempirsi di amarezza e disperazione».
Fortunatamente – spiega il nostro interlocutore – alla Cpc, che allora si chiamava Ospedale neuropsichiatrico cantonale (Onc), o più comunemente «Neuro», si mettevano in atto una serie di strategie e presidi per cercare di contrastare la tendenza. «Uno di questi si chiamava Club 74, ed è stato formalmente istituito nel 1974 da Ettore Pellandini, un formidabile animatore dell’Onc. Questo club dei pazienti aveva (e ha ancora, visto che continua la sua attività) lo scopo di coinvolgere i degenti nella pianificazione della giornata – anche quelle di Natale e Capodanno – e nell’organizzazione di attività sociali, culturali e ricreative (momenti di arte, musica e movimento, lavori utili all’interno e all’esterno della struttura ecc.)». Attività che assumevano finalità terapeutiche, riabilitative e di reinserimento sociale.
«Il Club 74 – sottolinea Mariconda – era una maniera efficace di esorcizzare gli aspetti negativi della vita in istituto, ritrovando una socialità e un’affettività perdute. L’iniziativa era nelle mani dei pazienti, i quali da vittime passive si trasformavano in interlocutori attivi, responsabili dell’andamento delle loro giornate. E così riuscivano a gestire meglio le emozioni negative, passando dall’amarezza della solitudine a una certa euforia. Si trattava di una strabiliante forma di cura che si ispirava ai principi della Psicoterapia istituzionale di origine francese, in particolare a Jean Oury e alla clinica La Borde a Cour-Cheverny, nella Valle della Loira. Psicoterapia istituzionale che proponeva una ristrutturazione radicale di quelli che allora si chiamavano manicomi e cliniche di salute mentale».
Nel saggio L’Ospedale neuropsichiatrico cantonale di Mendrisio 1898-1978. Passato, presente e prospettiva dell’assistenza socio-psichiatrica del Cantone Ticino (edito dal Dipartimento opere sociali nel 1978) si parla diffusamente del Club 1974 e di esperienze simili nate in seguito sul territorio cantonale: «Il Club 74 rappresenta oggi uno spazio autonomo, anzi una catena di spazi che i pazienti gestiscono (bar analcolico, biblioteca, teatro), come pure una struttura di animazione della socio ergo e ludoterapia». Nel libro è riportato anche il punto di vista di alcuni degenti: «Formiamo una comunità che, giorno dopo giorno, produce, parla, ride, litiga, comunica, discute, si aiuta. Siamo tutti d’accordo sulla validità di questa terapia, perché di terapia si tratta: per guarire è importante sentirsi sempre meno pazienti e più persone». «Tra noi (…) c’è chi si ricorda la monotonia delle sue giornate quando il Club non esisteva, giornate passate sempre in camera, orari rigidi, impossibilità o quasi di incontri con degenti di altri padiglioni. Siamo convinti che, del grande cambiamento avvenuto in questi ultimi anni all’ospedale, ci sia anche il nostro piccolo contributo. La nostra sede è sempre aperta già dalle 8 del mattino fino all’ora di cena, le nostre attività ricreative non si sono svolte solo di pomeriggio ma anche di sera, con cenette, festicciole ecc. Questo è stato di stimolo, anche per i pazienti che non lo potevano fare, a uscire».
Il Club 74 ha contribuito in maniera importante alle riforme della sociopsichiatria ticinese, conferma Mariconda. Ancora negli anni Settanta la situazione al «Neuro» era piuttosto desolante, molto lontana da quello che succedeva nella clinica La Borde: trattamenti con l’insulina, isolamento, contenzione, padiglioni chiusi, camera deliri, elettroshock. «L’Ospedale neuropsichiatrico cantonale era un luogo di emarginazione e stigmatizzazione. Un luogo che non accoglieva solo persone affette da gravi disturbi psichici ma anche altre tipologie di ospiti: persone emarginate, ragazze madri, tossicodipendenti, persone con comportamenti delinquenziali ecc. Dentro tale sconfortante contesto si muovevano a fatica i primi tentavi di terapie psicosociali».
«Sotto la direzione ospedaliera di Elio Gobbi si sviluppò un dibattito che portò alla Legge cantonale sull’assistenza sociopsichiatrica del 1983, che contribuì a restituire dignità e diritti a chi soffre di un disagio mentale», afferma Claudio Mustacchi, docente-ricercatore del Dipartimento economia aziendale, sanità e sociale della Supsi in uno scritto che si può trovare online dedicato a Ettore Pellandini («Ettore Pellandini: l’attore del cambiamento»). «Un dibattito favorito dalle evidenze che Ettore Pellandini – animatore socioterapeutico, agli occhi di molti stravagante – andava producendo: discutendo coi “matti”, recitando con loro, ascoltando audiodischi, nominandoli responsabili di un club non esclusivo ma aperto a tutti, mostrando l’importanza di un sapere sociale e culturale, un sapere non medico, fondamentale per la cura della sofferenza mentale». Un nuovo approccio a cui ha aderito anche Mariconda che ha portato sollievo a molte persone malate, non solo nel periodo delle feste.