Ghino di Tacco e la fortezza di Radicofani

Vi sono luoghi così fortemente radicati nell’immaginario collettivo, che solo pronunciarne il nome scatena sensazioni di benessere e armonia. È il caso della Val d’Orcia, una zona rurale connotata da intensi flussi turistici legati a itinerari storici, religiosi ed enogastronomici. I sapori intensi del formaggio, dei salumi e dei raffinati vini locali, la natura rigogliosa con i caratteristici filari di cipressi, le tratte degli antichi viandanti oggi percorse con devozione e misticismo… ma è sempre stato così? Nel cuore del Medioevo, quando la celebre Strada Francigena (anche nota con il nome di Via Francesca o Romea, perché conduceva a Roma) era percorsa da militari, religiosi e mercanti, i pericoli erano sempre in agguato, ma già in tempi più antichi il monaco Bernardo il Saggio la descriveva come popolata da «homines mali, fures et latrones» (uomini malvagi, briganti e ladroni).

In questo contesto sinistro si situa l’ambigua figura di Ghino di Tacco. Per presentarlo è necessario fermarci un attimo e parlare di Radicofani, un comune di un migliaio di abitanti in provincia di Siena che sembra esistere, con il nome di Callemala, almeno sin dall’anno 876. Il paese è dominato da un’altura di 896 metri, situata in una zona intermedia fra la Val di Chiana e il monte Cetona, delimitata a nord e a est dal corso dell’Orcia, a ovest dalla valle del Paglia e dal Monte Amiata e a sud dall’alto Lazio. Un luogo perfetto per avere il massimo controllo sul territorio, soprattutto su quei tracciati stradali che attraversano fin dall’antichità il distretto territoriale, localizzato su di un apparato vulcanico formatosi circa 1,3 milioni di anni fa.
Sul paese si staglia una fortezza il cui anno di costruzione è ignoto, ma esistente già nel 973. La sua storia è dominata da aspre contese a causa della posizione strategica: lo sviluppo del borgo di Radicofani è legato all’importanza della Via Francigena, dal Medioevo il principale collegamento tra Roma e Firenze. La fama dell’itinerario fu legata per secoli a quella della florida abbazia di San Salvatore sul Monte Amiata; con il declino dell’abbazia, la Strada Francesca divenne mal frequentata e un poco losca, e gli abitanti del fondovalle si spostarono più in alto avvicinandosi alla rocca di Radicofani.
Nel 1411 Radicofani su sottomessa dalla Repubblica senese e nel 1537, con l’avvento al potere di Cosimo I Medici, si realizzò in Toscana un efficiente sistema fortificato. La fortezza perse progressivamente di importanza militare e assunse il ruolo sempre crescente di zona di traffico commerciale, tanto che alla fine del Cinquecento i Medici eressero la Posta, un grande edificio-albergo che farà di Radicofani una delle tappe più importanti sul percorso tra Roma e Firenze – almeno fino all’avvento dell’automobile. Nel 1558 Radicofani passò sotto il dominio dei Medici, che dedicarono grandi cure alla via Francigena al fine di dirottare la gran parte dei flussi commerciali attraverso i loro stati e di rendere più sicuro l’itinerario, divenuto ormai tristemente famoso a causa di svariati episodi di brigantaggio. La strada divenne la via di comunicazione più utilizzata per il transito fra Roma, l’Italia settentrionale e i maggiori centri europei.
E qui arriviamo a Ghino. Nato al Castello della Fratta intorno al 1265, rampollo della famiglia ghibellina Cacciaconti, Ghino di Tacco ebbe una vita rocambolesca. Nel 1285 il padre e lo zio furono fatti catturare dal giudice Benincasa da Laterina e in seguito decapitati in Piazza del Campo a Siena. Il giovane Ghino fuggì dalla città e divenne a tutti gli effetti un bandito. La notte di Natale del 1297, insieme a un gruppo di seguaci, Ghino conquistò il castello di Radicofani, allora di proprietà pontificia, dal quale diede il via a un’intensa attività di controllo su qualunque cosa transitasse sul percorso. Per vendicarsi di Benincasa, lo andò a cercare a Roma e lo uccise, decapitandolo, nei palazzi del Campidoglio. Portata con sé la testa a Radicofani, la gettò sulla torre perché la mangiassero i falchi.
Nel VI Canto del Purgatorio, Dante Alighieri fa citare l’episodio proprio a Benincasa, il quale si presenta così: «qui v’era l’aretin che da le braccia fiere di Ghin di Tacco ebbe la morte».
Braccia fiere: feroci o forti? Più probabile la seconda opzione: la simpatia per Ghino da parte dei letterati medievali era molta. Se Jacopo della Lana ci tenne a sottolineare che la ferocia con cui aveva vendicato la morte del padre era del tutto eccezionale e anomala per il buon carattere di Ghino, Benvenuto da Imola, nel suo commento alla Commedia di Dante, lo descrisse come uno strano Robin Hood, prodigo verso i poveri e gli studenti, che toglieva i denari ai ricchi, ma lasciava loro un asino per continuare il viaggio. Insomma, un vero bandito-gentiluomo.
L’uccisione del giudice aveva reso Ghino un personaggio sgradito ai Romani e Papa Bonifacio VIII fu più volte sollecitato a prendere provvedimenti contro di lui. Ma in sua difesa si schierò l’abate di Cluny, uno degli uomini più potenti di Francia, che il Papa teneva in grande considerazione, soprattutto in quel periodo di aspri contrasti con Filippo il Bello. Per conoscere i motivi di tale simpatia bisogna fare riferimento al Decamerone di Boccaccio. Nella Decima Giornata si racconta di quando, tempo indietro, percorrendo la Francigena di Radicofani diretto alle terme di San Casciano per curare lo stomaco dagli eccessi di cibo e di buon vino, l’abate fosse stato rapito e rinchiuso in una cella del castello di Ghino, dove per alcuni giorni fu nutrito a fave secche, pane e vernaccia. Con quella dieta che Ghino sapeva essere benefica grazie ai passati studi di medicina, l’abate guarì. In seguito liberato e invitato a banchettare con i suoi uomini, l’abate rimase colpito dal bandito-gentiluomo.
L’intercessione dell’uomo di Chiesa diede i suoi frutti: non solo Bonifacio VIII perdonò Ghino, ma lo chiamò a Roma per assegnargli una rendita e nominarlo priore dell’ordine cavalleresco degli Spedalieri di San Giovanni in Gerusalemme. Come tale, Ghino per tre anni si occupò della difesa del Papa e a settembre del 1303 ad Anagni sventò una congiura contro il Pontefice. Il Papa, tuttavia, forse a causa dello stress per il pericolo corso o delle già precarie condizioni di salute, morì il mese successivo. Ghino decise dunque di rientrare a Siena, ma si racconta che poco dopo, all’età di 38 anni, fu colto in un agguato e ucciso nei pressi di Sinalunga. Radicofani ricorda la storia di Ghino di Tacco con una piazza e un monumento a lui dedicati.

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