Non c’è nulla di più estraneo al freddo stagionale, e alla brevità delle giornate invernali, dell’immagine di un’amaca stesa fra due alberi in una giornata estiva che trabocca di luce e che sembra non finire mai. Una simile immagine figurerebbe egregiamente su un manifesto o dépliant pubblicitario che invita a tuffarsi in un mondo da sogni, regalandosi un’indimenticabile vacanza. Perché tutti noi, chi più chi meno, avvertiamo il bisogno di viaggiare, anche solo un poco, o solo con l’immaginazione: a maggior ragione in questi tempi incerti, dove il viaggio è diventato quasi un lusso proibito. Anche in queste circostanze, l’immagine di un’amaca può portare una ventata di tranquillità e suggerire un’alternativa allo stress, alla pesantezza, e al grigiore di certe giornate. Storicamente, del resto, l’amaca è legata ai climi tropicali. Lo storico spagnolo Gonzalo Fernander de Oviedo Valdes sostiene che sia stato Colombo a portarla in Europa di ritorno dal Nuovo Mondo.
Tuttavia, anche chi si adagia su queste comode ragnatele di corde è suscettibile di evocare idee e impressioni contrastanti. C’è chi guarda con sospetto coloro che osano affidare le proprie rêveries alla comodità di un’amaca. E c’è chi, all’opposto, riconosce i benefici fisici e mentali di un sano riposo in mezzo alla natura. L’amaca è un dispositivo culturale che, come un quarzo colpito dalla luce, raccoglie e rifrange contrasti e contraddizioni tipici della nostra società, della nostra cultura e della nostra mentalità. In quanto a oggetto di uso comune, rinvia tanto all’idea, tristemente nota, secondo cui l’ozio è il padre dei vizi, quanto alla concezione, più positiva, dell’ozio come riposo rigenerante.
È ben noto come, nella società contemporanea, l’ozio sia un tema controverso: spesso è visto come qualcosa di dannoso, dissipativo e improduttivo, altre volte gli si riconosce il ruolo di garante di un sano equilibrio fra corpo e mente. L’ozio è uno spreco di tempo inutile che dischiude un’insidiosa pigrizia, oppure è una risorsa di cui l’essere umano può giovarsi, che gli permette di realizzare alcune delle sue aspirazioni più profonde? Non è facile mettere d’accordo detrattori e sostenitori; è altresì probabile che alla base ci sia una spaccatura fra concezioni divergenti della parola e dell’esperienza dell’ozio.
Che cosa è l’ozio, come va definito? L’ozio è pura passività oppure implica una certa qual forma di attività? L’ozio è produttivo, oppure è un tempo morto, improduttivo? Queste domande ci riportano al grande dilemma: l’ozio è un vizio o una virtù? Il sociologo italiano Domenico De Masi, noto per le sue riflessioni sul mondo del lavoro e per la sua predilezione per lo smart working, non ha dubbi: l’ozio non solo è una virtù, ma permette altresì all’essere umano di esprimere al meglio il suo potenziale creativo.
Da qui il titolo di una delle sue pubblicazioni più note: Ozio creativo che – precisa il sociologo –, non equivale a «pigrizia o disimpegno» ma si manifesta in «quello stato di grazia, comune a molte attività intellettuali, che si determina quando le dimensioni fondamentali della nostra vita attiva – lavoro per produrre ricchezza, studio per produrre conoscenza, gioco per produrre benessere – si ibridano e si confondono». L’ozio concepito in questi termini coincide con una sorta di pienezza creativa in cui l’essere umano si riconosce e si riscopre.
All’opposto del lavoro alienante e disumanizzante, l’ozio si riconcilia pienamente con l’immagine dell’amaca, che De Masi esalta e eleva a emblema di uno stile di vita all’insegna del benessere: «puoi startene sdraiato per ore – afferma il sociologo –, mentre la tua mente lavora vorticosamente. L’amaca è l’opposto della catena di montaggio. E, forse, è l’oggetto più bello e più funzionale che sia mai stato creato dagli esseri pensanti».
Visto così, l’ozio è certamente un’esperienza da coltivare, diffondere e proteggere. Non è impresa facile, in questi tempi di confinamenti, privazioni e limiti, nei quali ognuno si ingegna per trovare delle isole di tranquillità nell’oceano di incertezze che attraversiamo. La speranza è che poi, come sempre, l’estate torni più viva che mai, con le sue amache sospese nella luce accecante.