Non è forse il momento migliore per proporre sgravi fiscali, vista l’incidenza della spesa per gli effetti dell’epidemia sui bilanci della Confederazione. Lo ha detto lo stesso ministro delle finanze Ueli Maurer, presentando il tema in votazione il prossimo 13 febbraio: la prevista abolizione della tassa di bollo sulle emissioni di capitale proprio delle aziende. Ma i tempi della politica non tengono conto delle circostanze particolari e il voto sul referendum proposto dalla sinistra (PS, Verdi e sindacati) giunge proprio di questi tempi.
Che cosa viene rimproverato alla proposta del Consiglio federale accettata dal Consiglio Nazionale (120 sì, 70 no) e dal Consiglio degli Stati (29 sì, 14 no)? L’obiezione principale è quella di favorire in pratica soltanto le grandi imprese, il settore finanziario e i proprietari di capitali, provocando minori entrate alle casse federali. Secondo i referendisti, il «capitale», a partire dalla metà degli anni Novanta, ha beneficiato di sgravi fiscali dell’ordine di parecchi miliardi di franchi, mentre il «lavoro» ha visto aumentare le proprie imposte. Inoltre, si prevedono altri sgravi con la prevista soppressione dell’imposta preventiva e di altre tasse di bollo. Effettivamente quella su cui si vota è solo una parte delle revisioni fiscali chiesta con un’iniziativa del 2009.
In realtà, la posta in gioco questa volta non è di grande portata. Per la Confederazione si prevedono minori entrate fra i 200 e i 250 milioni di franchi all’anno. Lo stesso consigliere federale Ueli Maurer ha precisato che sgravi fiscali non significano necessariamente minori entrate per il fisco. Anzi, negli ultimi 15-20 anni, proprio a seguito di alcuni sgravi, il gettito delle imposte pagate dalle imprese è aumentato più delle entrate dovute ad altre imposte. In ogni caso, le previste minori entrate per la Confederazione costituiscono soltanto dal 2 al 3 per mille del bilancio, che è di circa 80 miliardi di franchi all’anno.
Visto il risultato concreto dell’operazione, val la pena di guardare un po’ oltre il tema in votazione. In realtà, considerata anche la forte concorrenzialità oggi in atto a livello mondiale nella tassazione delle imprese, una tassa sulle emissioni di capitale è quanto di più illogico si possa immaginare. Si tassa, infatti, un’azienda per un’operazione che le permette di vivere e prima ancora che la stessa le abbia procurato un qualche guadagno. Non a caso la Svizzera è uno dei pochi paesi al mondo che praticano questo tipo di fiscalità.
La tassa colpisce, infatti, in misura maggiore le imprese meno redditizie. Le imprese più redditizie possono, infatti, finanziarsi mediante gli utili e non sono costrette a raccogliere nuovo capitale proprio per crescere. La tassa colpisce in particolare le nuove aziende che devono ricorrere a una seconda o terza emissione di capitale proprio. In sostanza si tratta di un’imposta speciale sul capitale proprio e gli investimenti che frena la crescita economica, la destabilizza, favorendo l’indebitamento. Infatti, l’assunzione di capitali presso terzi non è soggetta a tassa.
Sono colpite da questa tassa le società anonime e simili e anche le società cooperative. La legge prevede alcune eccezioni. Intanto è prevista una franchigia di un milione di franchi (al di sotto della quale non si paga la tassa di bollo). Le imprese di pubblica utilità o il cui capitale è in mano pubblica non sono soggette alla tassa. Se è vero che la tassa colpisce soprattutto le grandi imprese, è anche vero che sono molte di più le piccole e medie aziende che la pagano. Secondo una statistica recente sono ben 1376 imprese che hanno versato al fisco meno di 10’000 franchi, per un totale di 5,7 milioni. Sono invece solo 33 le imprese che hanno pagato oltre 1 milione di franchi, per un totale di 183,4 milioni.
Data la portata limitata della tassa – che però è importante per le grandi aziende svizzere – il tema va affrontato tenendo conto degli aspetti generali della fiscalità. Da tempo la Svizzera sta perdendo di attrattività anche nel campo fiscale. Ne soffre tutto il settore economico e in particolare quello finanziario. Anche Berna ha deciso – nell’ambito dell’OCSE – di applicare a livello internazionale la tassa minima del 15% sugli utili delle imprese. In molti casi questo significa un aumento delle imposte sugli utili delle aziende, che in parte potrebbe essere attenuato dalla abolizione della tassa di bollo sulle acquisizioni di capitale proprio. Tassa che, inoltre, ha il grosso difetto di essere applicata indipendentemente dalla redditività degli investimenti. Per questo la tendenza generale è quella di abolire progressivamente le tasse di bollo.