Bologna fino ad alcuni decenni fa era una piccola città un po’ provinciale, con molti monumenti e opere d’arte indimenticabili. In Piazza ritrovavi sempre diversi capannelli di persone che discutevano animatamente chi di politica, chi di calcio. Tutti i fine-settimana si incontrava Beppe Maniglia, con la sua Harley Davidson, che a torso nudo, anche d’inverno per la gioia delle ragazze, suonava musica e faceva scoppiare con il solo fiato della bocca una borsa per l’acqua calda. Pochissimi i turisti. Via Indipendenza (la strada ove vivevo a pochi metri dalla Piazza) era ancora abitata da anziani cittadini. La Pinacoteca di via Belle Arti si poteva ammirare quasi in solitudine e le mostre in città erano eccezionali. Basti ricordare le Biennali d’arte antica, presiedute da Cesare Gnudi, che indagavano gli artisti locali quali Guido Reni, i Carracci, il Guercino, Federico Barocci; con cataloghi scientifici, precisi e rigorosamente in bianco e nero.
Poi è arrivata la Ryanair e con essa gli «stramaledetti» turisti. Il centro si è trasformato in un grande bancone alimentare dove si mangia e si bivacca a ogni angolo di strada.
Una cosa però sembra essere rimasta quasi identica: la ricerca di esposizioni di qualità e con precisi intenti. In questi ultimi decenni i musei generalmente hanno preso la brutta abitudine di organizzare esposizioni, più che altro per richiamare turisti e rimpinguare le casse.
Alla Pinacoteca Nazionale c’è un’esposizione nata e cresciuta «attorno al desiderio di rievocare la prima grande mostra d’arte organizzata dalle istituzioni cittadine quando all’inizio del 1816 venne presentata nella chiesa dello Spirito Santo una scelta dei capolavori bolognesi recuperati da Antonio Canova in Francia», scrive la direttrice del museo Maria Luisa Pacelli in catalogo. Ma soprattutto, ed è l’aspetto maggiormente interessante, le opere dedicate a Canova e i relativi documenti sono esposti lungo il precorso permanente della Pinacoteca in un dialogo all’insegna della «complementarità».
Ma cosa ha a che fare Canova con Bologna?
Antonio Canova nei primi decenni dell’Ottocento è uno scultore famoso e riconosciuto in tutta Europa. È un uomo di cultura e soprattutto un diplomatico. Viaggi e contatti lo vedono protagonista a Venezia, Roma, Parigi e Londra, senza dimenticare la sua Possagno. La mappa delle città canoviane include anche Napoli, Firenze e, in questo caso, Bologna. Il primo incontro con la città avviene nel 1779 nel tragitto da Venezia alla volta di Roma. Il giovanissimo scultore si entusiasma al Compianto di Alfonso Lombardi e alla Decollazione di Battista di Alessandro Algardi. Grazie al suo diario conosciamo tutti gli artisti scoperti: dai Carracci a Tiarini, dal Cavedone al Domenichino, dal Guercino a Guido Reni.
Ammira gli Scorticati di Ercole Lelli ed entra in contatto con artisti viventi del luogo, come il ceroplastico Giambattista Manfredini del quale descrive (interessi giovanili) i modelli uterini, i genitali maschili e femminili. Durante i suoi successivi soggiorni conosce lo scultore Giacomo De Maria, l’architetto Giovanni Antonio Antolini e l’incisore e docente dell’Accademia Francesco Rosaspina; le persone della buona società e la «magnetica figura» di Madame Cornelia Barbara Rossi, contessa di Lugo, allieva di Giuseppe Mezzofanti, musa di Ugo Foscolo, confidente di Stendhal, amica negli anni successivi di Giacomo Leopardi e moglie di Giovanni Battista Martinetti, architetto e ingegnere originario di Bironico trapiantato dal 1775 a Bologna.
Nel 1804 lo scultore Giacomo Rossi, segretario dell’Accademia di Bologna, avanza formale richiesta a Giuseppe Bossi, omologo milanese, per avere qualche nuovo calco per la gipsoteca tra i quali il Busto di Napoleone di Canova. Tra il 1811 e il 1812 Pelagio Pelagi ottiene in dono da Canova i calchi della Concordia e un’altra Testa di Napoleone. Diversi sono i gessi canoviani presenti all’Accademia di Belle Arti. Tra questi citiamo la Maddalena penitente della quale Quatremère de Quincy, amico dello scultore, disse: «Quella è un’opera figlia del cuore»; due le opere realizzate in marmo e quattro i calchi in gesso a oggi noti – ricavati da uno stampo a tasselli effettuato sul marmo originale della seconda versione – dei quali quello dell’Accademia è sicuramente di qualità superiore.
Nel settembre-ottobre del 1815 Canova è tra gli invitati al Congresso di Parigi che sancisce la sconfitta di Napoleone. È il capo della Delegazione pontificia che deve ottenere la restituzione dei beni sottratti in virtù del Trattato di Tolentino del 1797 con il quale la Francia asporta alcuni beni della chiesa e li porta a Parigi: manoscritti, libri, beni archeologici, dipinti. Dopo Roma, la città maggiormente depauperata è Bologna. Canova riporta 38 tele bolognesi più 7 provenienti da Cento. Sabato 30 dicembre i quadri vengono ricoverati nella chiesa sconsacrata dello Spirito Santo e sballati alla presenza di Luigi Salina, «il potente commissario pontificio», e dello stesso Canova.
Il marchese Antonio Bolognini Amorini nella sua Descrizione de’ quadri restituiti a Bologna… del 1818 scrive: «Bello fu vedere quell’immortale uomo del Canova dar mano premurosa agli altri operai, e schiodare e aprire le grandi casse che racchiudevano li riportati quadri». In gennaio, e per otto giorni, nella stessa chiesa viene organizzata una mostra con esposti 18 dei quadri restituiti. Al posto d’onore la Pala dei mendicanti di Reni, poi il San Bruno di Guercino, la Santa Cecilia di Raffaello, La vocazione di Matteo di Ludovico Carracci e via via tutti gli altri.
L’odierna esposizione ricostruisce tutta la vicenda e in più fa rivivere l’ambiente della mostra allo Spirito Santo del 1816 attraverso la proiezione della sua ricostruzione digitale in 3D a scala ambientale. La prima inquadratura, scrivono gli autori, riprende la Ichnoscenografia di Bologna del 1702 di Filippo de’ Gnudi fino a scendere a volo d’uccello a inquadrare la porzione urbana che accoglie la chiesa per abbassarsi ad altezza d’uomo, entrare nella chiesa stessa e ammirarne l’allestimento con l’illuminazione naturale.
Bel catalogo contenente oltre al prospetto dei materiali esposti anche un’appendice documentaria che riunisce le testimonianze maggiormente significative inerenti il legame tra Canova e la città felsinea: 103 lettere e testimonianze.