Potrà sembrare un po’ fuori tema o fuori luogo, ma prima di prendere parte alla manifestazione in ricordo dello scrittore italiano Gianni Celati, iniziativa che si è tenuta a Bologna in Sala Borsa lo scorso 21 gennaio, chi scrive ha avuto l’idea di passare un momento a dare un’occhiata alla Casa-museo di Giosuè Carducci. In particolare, colpisce il visitatore il giardino commemorativo, imponente, monumentale, costruito lì a fianco. Oggi pare completamente inutile e grottesco e dà l’idea di quanto transitoria possa essere la gloria letteraria.
Confrontare i due scrittori è sicuramente assurdo, ma l’associazione di idee nata per istinto forse fornisce qualche spunto di riflessione. Nell’enorme differenza, culturale e personale, delle due fisionomie è quasi divertente andare a cercare analogie e richiami, in un gioco di rispecchiamenti e rifrazioni a un secolo di distanza.
Ma torniamo all’omaggio ufficiale a Celati. L’atmosfera che si respirava nella bella sala liberty bolognese era triste ma lucida. Il momento di ricordo promosso da Ermanno Cavazzoni e da altri amici di Celati era del tutto privo di retorica e commozione di circostanza. Occorre dire che in conseguenza della lunga malattia di cui Celati soffriva, da tempo la sua figura era assente dalla scena culturale.
Cavazzoni si è assunto quindi il compito di ripercorrere la carriera di Celati con un affettuoso ritratto cronologico, arricchito anche da significative fotografie e da video. Il ritratto ha offerto ai presenti un quadro generale della multiforme attività dello scrittore, della sua vivacità e attitudine a infrangere ogni barriera, ogni convenzione, letteraria, sociale e accademica. «Celati era uno che scappava; quando le cose si stabilizzavano a lui gli veniva da scappare»: con questa frase scherzosa lo scrittore emiliano ha descritto l’irrequietezza dell’amico. Un’attitudine che l’ha portato più volte a rimettere in discussione la propria vita.
Così per la la sua carriera universitaria: aveva rinunciato alla docenza al Dams perché non gli era stato concesso un anno sabbatico. Studioso di una levatura straordinaria (testimone in questo senso l’apprezzamento e l’affetto che Italo Calvino gli aveva dimostrato), Celati ha gestito le sue doti in modo anticonvenzionale e libero. Cavazzoni ha voluto in questo senso citare le parole rivolte da Celati agli allievi in chiusura del suo corso al Politecnico di Zurigo, qualche anno fa: «Chi me l’ha fatto fare di stare sui libri quarant’anni? Non lo so, mi è sembrato il modo meno indecente di stare al mondo».
Alla testimonianza di Cavazzoni sono seguiti poi gli interventi di amici e collaboratori di Celati. Molto sentito il ricordo di Carlo Ginzburg che ha letto una lettera inedita scrittagli dall’amico in cui lo esortava a partecipare a un’iniziativa editoriale. Lettera molto significativa che sottolineava di nuovo l’attenzione precisa verso il mondo della ricerca manifestato da Celati.
Hanno parlato in seguito Marco Belpoliti che, con ragione ha invitato a leggere il carteggio tra Celati e Daniele Benati (https://site.unibo.it/griseldaonline/it/gianni-celati/) in cui si coglie un’angolatura diversa della sua personalità, quella del «conversatore». Lo stesso Benati ha proposto un testo da lui scritto in occasione di un passato compleanno di Celati: la descrizione grottesca di una loro passeggiata invernale attraverso la cittadina inglese in cui entrambi abitavano e insegnavano. Jean Talon, dal canto suo, ha ricordato uno dei viaggi in Africa compiuto con Celati (raccontato in Avventure in Africa) e ha proposto la lettura del significativo Esercizio autobiografico in 2000 battute che è un esempio perfetto dell’understatement ironico di Celati. La studiosa Nunzia Palmieri (che insieme a Belpoliti ha curato il Meridiano Mondadori celatiano), ha poi condiviso i suoi ricordi circa l’avventurosa preparazione di una lettura pubblica dei celebri «poemi» di Vecchiatto, organizzata insieme a Celati qualche anno fa. Significativo e divertente, il ricordo conclusivo dello scrittore Ugo Cornia: «Senza Celati sarei una persona diversa e non avrei fatto varie cose che ho fatto nella mia vita. Direi che Celati è stato per me lo stupefacente più potente (non che ne usi molti): direi che mi ha aperto il pensiero».
Proprio questo ricordo di Cornia, così sintetico ed efficace, ci permette una considerazione finale. Ricordare Celati significa apprezzare il suo ruolo di «maître à penser», cioè il contributo che ha dato a una generazione di scrittori e studiosi, di cui ha orientato il modo di vedere il mondo: un’attenzione disincantata alla realtà, ma permeata da uno sguardo poetico, come nelle foto dell’amico Ghirri. Un atteggiamento concreto, impegnato, da animatore culturale (si pensi ai suoi ormai imprescindibili Narratori delle riserve). Un lavoro di rinnovamento e apertura che ha, senza dubbio alcuno, imposto una svolta alla letteratura italiana di fine 900. In questo senso, e fatte le debite differenze, sembra un po’ meno peregrino accostare la sua figura a quella di Carducci. Anche se entrambi inorridirebbero all’idea…