Dietro la lente di Villi

È nato nel maggio del 1941. Non solo zodiacalmente è un toro che nella sua vita ha fatto davvero di tutto. Anche l’insegnante di francese in un paesino dell’Algeria di Ahmed Ben Bella, visionario paziente dal cuore rivoluzionario, nonché leader berbero che sconfisse il secolare colonialismo francese. E sotto sotto anche Villi Hermann ci appare oggi un visionario paziente dal cuore rivoluzionario.
È da sempre schierato a sinistra, in modo tuttavia discreto, ben cosciente che in Svizzera gli estremismi faticano ad attecchire. Eppure, la sua vocazione artistica l’ha più volte portato a denunciare le condizioni degradanti in cui spesso si ritrovano gli esclusi dalla nostra società, a dar voce – e soprattutto immagini – a chi si trova costretto a lottare per garantirsi un’esistenza dignitosa. Non è un caso che tra i suoi primi lavori troviamo Cerchiamo per subito operai, offriamo… (che riecheggia il Max Frisch di Cercavamo braccia, sono arrivati uomini) e che in piena maturità abbia girato quel San Gottardo che nel 1977 denunciò l’ambiente paraschiavista in cui operavano minatori italiani e jugoslavi sul cantiere della galleria autostradale e che quell’anno gli valse il Pardo d’Argento locarnese.
È stato un visionario capace di dar vita giusto quarant’anni or sono, nel ristretto Ticino, a «Imago», casa di produzione che ci ha offerto pellicole con attori del calibro di Omero Antonutti, Francesca Neri e tra gli altri Bruno Ganz. Come produttore è un padre-chioccia cui devono molto Niccolò Castelli, Erik Bernasconi e Alberto Meroni. Anche Cronofobia del mendrisiense Francesco Rizzi è uscito dalla scuderia Imago per andare a raccogliere parecchi quanto prestigiosi riconoscimenti internazionali.
Casa Donetta di Casserio ci dà ora la possibilità di scoprire il Villi Hermann fotografo (in realtà «un regista che prende appunti con l’apparecchio fotografico», annota Alberto Nessi). Accanto al cinema, la fotografia è infatti un’altra passione di Hermann, il quale ha lavorato con Renato Berta e Carlo Varini (cineasti ticinesi che hanno raggiunto fama internazionale quali direttori della fotografia su set prestigiosi) e che ha dedicato ben cinque documentari ad altrettanto grandi fotografi. Dal ginevrino Jean Mohr al «Pedra» – reporter locarnese caduto nel 1956 durante l’insurrezione di Budapest che stava documentando per «Paris Match» – passando per Gotthard Schuh e per il luganese d’adozione Christian Schiefer, che documentò lo scempio di Piazzale Loreto il 29 aprile 1945.
Fedele all’amato bianco&nero, per la sua prima mostra Hermann ha scelto molte immagini scattate durante i suoi viaggi. Da Karachi a Giava, dalle campagne cinesi a Bali, Villi conferma sia la sua attenzione al dettaglio, sia l’empatia con i soggetti ripresi. In questo contesto, splendido e pieno di umanità, il ritratto della ballerina balinese di 103 anni. Ma nemmeno trascura piccoli avvenimenti locali come la mazza del maiale, l’ultima notte di lavoro del panettiere di Beride (villaggio natale di sua madre e dove Villi ha quasi sempre vissuto) e l’ultima proiezione al Teatro di Chiasso, divenuto alla fine degli Anni 70 un cinema porno che attirava soprattutto spettatori italiani, visto un certo permissivismo elvetico.
Chez Donetta non potevano mancare alcune lastre lasciateci dal «Ruberton», pioniere bleniese anch’egli e a suo tempo affascinato dal cinema. Ecco ad esempio l’immagine di un proiezionista, «personaggio di fuorivia messo in scena con perizia – annota ancora Alberto Nessi nel catalogo della mostra, dove troviamo anche scritti di Antonio Mariotti e dello stesso Hermann – e così diverso dai suoi contadini, artigiani e boscaioli sui quali si legge la fatica e la durezza del vivere. Qui abbiamo, sotto un elegante cappello cittadino, un viso impiegatizio accanto al proiettore che promette sogni, viaggi, evasioni». In fondo, ciò che Villi Hermann ha sempre cercato, spingendosi da Beride ai quattro angoli del mondo.

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