Un importante compleanno, quello di Venezia 2021: una delle città più iconiche al mondo compie 1600 anni. E così Novara, città d’acqua, rende omaggio alla città d’acqua per antonomasia con una mostra curata da Elisabetta Chiodini e allestita nelle sale del Castello visconteo che fino a qualche decennio fa ospitavano le carceri della città piemontese.
Difficile trovare una definizione univoca di Venezia: regina del mare e della terraferma fino a Campoformio, porta d’Oriente, tappa-chiave del Gran Tour settecentesco e infine gemma dell’immaginario collettivo per il suo essere sospesa in una dimensione a metà tra la terra e il mare, dove la luce sostanzia la sua bellezza.
La mostra, inaugurata lo scorso 31 ottobre, terminerà il prossimo 13 marzo, e ci porta per mano alla scoperta di una generazione di artisti che, veneziani di nascita o di adozione, scelsero la città come quinta della loro pittura tra gli anni trenta del secolo XIX e i primi del Novecento.
Le settanta opere esposte in otto sale ci raccontano tutti i generi di pittura; la pittura dal vero, quella di storia e di vita quotidiana, ma soprattutto il superamento dalla veduta a favore del paesaggio lagunare e delle sue straordinarie condizioni di luce.
Prima di cominciare il percorso al primo piano, a piano terra ci imbattiamo in una grande tela del 1857 di Francesco Hayez, Prete Orlando da Parma inviato di Arrigo IV di Germania e difeso da Gregorio VII contro il giusto sdegno del sinodo romano: è un’opera corale, il linguaggio è purista e insieme realista nel gesto del sacerdote che trattiene per i capelli il prete, reo solamente di essere l’ambasciatore della destituzione di Gregorio VII.
La prima sala è dedicata alla pittura di storia con tele di Francesco Hayez e di altri. Scena in laguna con figure (1862-65) di Antonio Zona è un’opera dai molti significati: su una barca in laguna un gruppo di persone simboleggia l’annessione di Venezia all’Italia dopo la Terza guerra d’Indipendenza. Così sembra dirci il ragazzo che regge l’immagine di Vittorio Emanuele II, e il tricolore degli abiti vuole alludere alla speranza di un futuro migliore.
Ma è nella seconda sala che si assiste alla trasformazione del vedutismo nella pittura di paesaggio con opere di Giuseppe Canella, Domenico Bresolin, Giacomo Favretto. Il vedutismo e le quinte architettoniche cedono il passo all’attenzione per le suggestioni atmosferiche, la luce cangiante, il colore.
L’alfiere del superamento del vedutismo è Guglielmo Ciardi cui è dedicata la terza sala. Ciardi ci introduce alla scoperta della poesia della laguna; nelle sue tele, ambientate anche in terraferma, la luce, le poche persone e l’atmosfera quasi metafisica restituiscono l’immagine della laguna come terra di mezzo tra mare, cielo e terra. Mulino sul Sile del 1877-78 ne è un esempio: è una tela costruita sulla diagonale del canale con la luce cristallina di un mattino estivo che permea ogni cosa.
Sempre negli anni ottanta l’arte veneziana si ispira anche al vero, con pittori come Luigi Nono e Giacomo Favretto, e la «pittura del vero» è la protagonista dell’ultimo tratto del percorso espositivo con una quadruplice declinazione: vita familiare, mondo del lavoro, idillio amoroso e devozione popolare.
In Verso sera presso Polcenigo, del 1873, Luigi Nono dà voce a una visione lirica e intimista della campagna friulana. Il paesaggio è il grande protagonista anche della tela di Giacomo Favretto, La mietitura del riso (1876 ca) dove però non c’è alcun riferimento sociale al mondo del lavoro.
Ma qualcosa sta cambiando sul finire del secolo: del 1895 è la prima Esposizione internazionale d’Arte, e Venezia si apre alle suggestioni del gusto d’Oltralpe. A conclusione del percorso, le opere realizzate a cavallo tra gli anni ottanta e novanta da artisti quali Ettore Tito e Mario De Maria che con I monaci dalle occhiaie vuote (1888), mostra un chiaro simbolismo vicino alla pittura di Böcklin.
Il modo migliore per congedarsi dalla mostra è cogliere l’intensità della popolana che stende i panni in Biancheria al vento (1901) di Ettore Tito, pittore dell’aria e del movimento.
Ecco: l’aria, la luce, le suggestioni del paesaggio sono la cifra che rendono Venezia unica al mondo, «il gioco di fata Morgana e una visione del cuor profondo» della poesia di Diego Valeri.