Sfatato il principio secondo cui in un ristorante conti come si mangia, la verità è che vogliamo solo essere trattati bene
Parliamo di ristoranti. Si dice che per aver successo sia necessario mangiare bene: io ho qualche dubbio.
Ho tanti amici che, tra tanto altro, amano frequentare i ristoranti. Quando ci si incontra si finisce, è inevitabile, a parlare di cucina e ospitalità. Ebbene, non mi è mai successo che qualche amico si sia lamentato della «scarsa qualità» di un piatto. Tutte le lamentele vertono da sempre su due cose: l’essere stati «trattati male», tipo che li avevano messi vicino alle porte del bagno o in uno spazio troppo o troppo poco illuminato, e sull’essere stati «serviti male», che vuol dire mille cose, dal fatto che un piatto era arrivato prima o dopo gli altri o che era troppo scarso o abbondante. A «trovarsi male» per questa ragione saranno circa nove su dieci. Mentre quelli che si dichiarano contenti, alla domanda circa il perché, la risposta che mi danno è, come è sempre stata: «Perché mi hanno trattato bene».
Quindi da sempre, quando mi rivolgo a un target «alto», ovvero agli appassionati, scrivo concentrandomi sul cibo, come è giusto che sia. Ma se mi rivolgo a un target «normale», cioè al 99 per cento dei lettori, sono consapevole che ben altri temi devo indagare. Tra questi, il primo da approfondire è il servizio, importantissimo ma mai coltivato abbastanza. Se tratti «male» un cliente, qualunque cosa il cliente intenda per male, non se lo scorderà mai, anche se gli hai dato ottimo cibo. Se lo tratti bene, e lo metti a suo agio, se lo ricorderà sempre, anche nel caso in cui gli hai servito un piatto «standard» tendente al mediocre; questo se lo dimenticherà il giorno dopo, il trattamento no.
Quindi è importante per un patron investire tempo e sforzi sul servizio, che vuol dire formare i camerieri, obbligarli a sorridere sempre e comunque (ché una faccia ingrugnita mal dispone tutti), addestrarli a compiere quei mille piccoli gesti che sono tutto. Certo, il servizio dipende anzitutto dal «posizionamento di mercato» del ristorante, ovvero dalla fascia di prezzo e dall’ambizione recondita. Quindi potrà essere più «cameratesco» a seconda del target – ma è una cosa che va decisa fin dall’inizio, non deve essere lasciata alla più o meno buona volontà dei camerieri.
Poi viene l’ambiente. Il mio consiglio è sempre: meglio un cattivo architetto che nessun architetto. Quindi andate con l’architetto nei locali già impostati come vorreste impostare il vostro, e cercate di scoprire elementi di vantaggio o svantaggio di ogni ristorante visitato. Toccherà poi all’architetto lavorare sul progetto, pur sempre incalzato da voi, ché solo la combinazione tra un bravo committente e un adeguato architetto alla fine – collaborando, anche litigando se capita – riuscirà a creare uno spazio «bello».
Terzo, un patron di ristorante deve in primo luogo essere un bravo comunicatore. Un ristorante non ha budget per fare pubblicità, proprio nessuno, e solo con la trasmissione di pochi concetti e in «basso» stile pubblicitario, semplici, si può mettere in moto il tam tam da persona a persona che è fondamentale per il successo. Non è facile, lo so, ma un patron bravo a comunicare vale tantissimo: quindi, se capita, e non è una battuta, fate un corso di recitazione.
Certo, questa realtà della quale sono più che convinto non è un motivo sufficiente per «sforzarsi» di cucinare male, sia chiaro. Un bravo patron deve dedicare tanto alla cucina e all’acquisto delle materie prime «giuste» per il suo ristorante, non c’è nessun motivo per non farlo. Ma mai, mai deve abbassare la guardia da ambiente, comunicazione e servizio!