La nuova Bourse de Commerce

Sino a qualche decennio fa ogni presidente della Repubblica francese ha voluto lasciare un ricordo di sé facendo costruire un grande edificio, che a volte prendeva il suo nome. Valéry Giscard d’Estaing con il Musée d’Orsay di Gae Aulenti (1979-86), François Mitterrand con la Piramide del Louvre di Ieoh Ming Pei, l’Opéra Bastille (Carlos Ott negli stessi anni (1983-89), la Cité de la musique di Christian de Portzamparc (1984-1990), l’Istituto del mondo arabo (Jean Nouvel (1981-87) e la Très grande bibliothèque di Dominique Perrault (1989-96); Jacques Chirac con il Musée du quai Branly; François Hollande con la Philharmonie di Jean Nouvel e ovviamente Georges Pompidou con il Beaubourg di Renzo Piano e Richard Rogers (1971-77). Parigi ha perciò una Biblioteca François Mitterrand, un Centre Georges Pompidou, un Museo Jacques Chirac: cosa unica in tutta Europa.
Ultimamente l’edificazione di opere è fatta da fondazioni private: la Fondazione Cartier dell’architetto Jean Nouvel (1994), la Fondazione Louis Vuitton di Frank Gehry (2014), Lafayette Anticipations di Rem Koolhaas (2018) e da poco la Bourse de Commerce di Tadao Ando che espone la Pinault Collection.
Apro una parentesi ghiotta fuori rotta: la Casa della cultura GES-2 della V-A-C Foundation ristrutturata da Renzo Piano a Mosca e inaugurata nel dicembre 2021.
La Bourse de Commerce ha una storia complicata. In sintesi: La Halle au blé viene costruita tra il 1763 e il 1766 a forma circolare. In seguito viene coperta con una cupola in legno distrutta da un incendio nel 1802. Ricostruita nel 1838 con fogli di rame che vengono in seguito sostituiti dal vetro. Nel 1885 è ulteriormente modificata e diventa la Bourse de Commerce attuale.
La porta d’entrata è sormontata da un frontone portato da quattro colonne corinzie. Nel frontone vi sono tre figure allegoriche scolpite da Aristide Croisy che rappresentano la città di Parigi affiancata dall’Abbondanza e dal Commercio. All’interno, nella parte inferiore della cupola, vi è un grande affresco che rappresenta il commercio nelle cinque parti del mondo: l’America dipinta da Évariste-Vital Luminais, la Russia illustrata da Désiré François Laugée, l’Asia e l’Africa di Victor Georges Clairin e l’Europa di Hippolyte Lucas. Ci sono anche i Quattro punti cardinali di Alexis-Joeseph Mazerolle. Il tutto realizzato fra 1887 e il 1889.
Nel film Touche pas à la femme blanche Philippe Noiret dice: «È la nostra Cappella Sistina».
Dopo anni di inutilizzo viene acquistata dall’imprenditore François Pinault: uno fra i 50 uomini più ricchi del mondo con un patrimonio di 46,9 miliardi di dollari. Controlla Gucci, Saint Laurent, Balenciaga, Boucheron, Christie’s, il giornale «Le Point», lo Château Latour, la squadra di calcio Stade Rennais…
Come collezionista ha circa diecimila opere per un valore di 1,5 miliardi di dollari. A Venezia, come sappiamo, sono a Palazzo Grassi e Punta della Dogana.
L’architetto Tadao Ando costruisce all’interno dell’edificio un’altra struttura circolare in calcestruzzo che arriva all’altezza dei fregi del soffitto. Un’occasione buona per poterli ammirare da vicino. (Naturalmente dopo aver fatto una bella coda, prima per il green pass e poi al metal detector). L’interno, anche se enorme, è pieno di gente che vaga fra una mostra e l’altra guardando il soffitto. La struttura è composta da cinque piani: al –2 c’è l’auditorium e il foyer; al pianterreno il bookshop; al primo e al secondo le sale espositive e all’ultimo il caffè-ristorante e la vista su Parigi. Per l’apertura sono stati messi in campo una serie di artisti del calibro di Bertrand Lavier, Urs Fischer, David Hammons, Nobuyoshi Araki, Rudolf Stingel e tanti altri nelle varie collettive.
Il problema vero è che sono gli stessi artisti che Pinault espone, o fa esporre a rotazione dal suo direttore artistico, anche a Venezia con la conseguenza che da una parte o dall’altra si «rischia» di vedere sempre le identiche cose.
Sarà per via della globalizzazione, sarà perché il mondo è gestito dalle stesse persone, resta il fatto che dopo un po’ ci si annoia fra cinesi, milanesi («hai visto i piccioni di Cattelan che sono a Milano?») e signore bene.
La Bourse de Commerce si trova proprio dietro Les Halles e vicinissima a rue Montorgueil che è una strada pedonale piena di negozietti proprio come dovevano essere Les Halles una volta: vi consiglio i puits d’amour di Stohrer, vi ridaranno il buon umore. Poi via verso la piccola piazzetta di rue Fürstenberg con al centro quattro alberi e con l’atelier di Eugène Delacroix. Sarete soli, o quasi, e felici. È vero non è più lo stesso di una decina d’anni fa: ora hanno chiuso il grande lucernario zenitale che illuminava la sala e hanno coperto anche le vetrate, tanto da assomigliare più a un museo che a una casa d’arte, ma merita ancora di essere visitato per il giardino, la tavolozza colma di colori, le piccole tele, i disegni, le stampe, le pietre litografiche, gli affreschi e i manoscritti oltre che la collezione di oggetti marocchini dell’artista. Potete soffermarvi ad ammirare il Lionne prête à s’élancer del 1863 o contemplare gli studi per Jacob, Héliodore e Saint Michel a Saint-Sulpice.

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