Pompei, ovvero l’araba fenice

Il ricercatore britannico Mortimer Wheeler ebbe a dire che «l’archeologo scavando non porta alla luce oggetti, ma esseri umani» e questa affermazione calza a pennello con l’ultima scoperta resa pubblica il 7 novembre 2021, ossia il ritrovamento eccezionale presso una villa di Civita Giuliana, 700 metri a nord della necropoli di Pompei, di un dormitorio per schiavi pressoché intatto che permette di dare uno sguardo sugli umili lavoratori di venti secoli or sono. Le novità riguardo a Pompei si susseguono in questi due anni: il virus, un nuovo direttore, l’Antiquarium interamente ristrutturato, il pubblico che ritorna a visitare gli scavi e un nuovo sito web. Ne parliamo in questo reportage-cronaca.
Dall’aeroporto di Napoli Capodichino con una navetta raggiungiamo la stazione di Napoli Centrale da dove parte il treno Metropolitano della Circumvesuviana che, in meno di un’ora, ci porta alla fermata di Pompei Scavi. Nel tragitto verso l’albergo scorgiamo dietro le cancellate la meta del nostro viaggio, gli scavi di Pompei sui quali troneggia Dedalo, il colossale bronzo moderno del polacco Mitoraj che richiama le grandi sculture classiche.
La denominazione ministeriale attuale parla di Parco archeologico di Pompei che comprende anche i siti nelle località confinanti. Da un anno il Parco ha un nuovo direttore, Gabriel Zuchtriegel, 40 anni, precedentemente responsabile di Paestum. La cronaca ci informa che anche Pompei ha sofferto molto i divieti dovuti al Covid; infatti, nel 2019 ha contabilizzato 3,8 milioni di visitatori che sono drasticamente scesi a poco meno di 600mila nel 2020 per risalire a quasi un milione l’anno scorso.
Ma che cosa attira tanto pubblico a Pompei? Un primato mondiale: quello di unico sito archeologico capace di illustrare in tutte le sue sfaccettature e nello stesso luogo la vita di un centro romano di media grandezza – si sono calcolati 20mila abitanti – carbonizzato in poche ore dall’eruzione del Vesuvio il 24 agosto (od ottobre) del 79 d.C. La storia ci dice che da quel tragico momento Pompei è stata dimenticata da tutti fino ai primi scavi ufficiali del 1748 promossi dal Re di Napoli.
L’antica località marittima, delimitata dalle mura millenarie, copre un’area di 660mila mq di cui circa due terzi già esplorati con 1500 edifici pubblici e privati riemersi dalle ceneri e in buona parte accessibili al pubblico. Per quanto sembri contraddittorio, la distruzione simultanea di tutta l’area vesuviana, anziché gettare nell’oblio gli insediamenti ne ha favorito la futura memoria, tant’è che Goethe già nel 1786 meravigliato dai primi ritrovamenti disse che «molte sciagure sono accadute nel mondo, ma poche hanno procurato altrettanta gioia alla posterità».
Non per nulla dal 6 dicembre 1997 tutti i complessi archeologici attorno al Vesuvio sono inseriti nella lunga lista italiana, la più folta al mondo, del Patrimonio Mondiale dell’umanità (Unesco) con la motivazione seguente: «Rappresentano una preziosa testimonianza della vita quotidiana e della società in un preciso momento storico, che non trova eguali in nessuna parte del mondo». Ville lussuose e anguste dimore, botteghe e postriboli, templi e terme, arene e ritrovi pubblici, strade e piazze, arredi, dipinti, utensili e quant’altro sono stati sepolti sotto una coltre spessa sei metri di lapilli, pomici e cenere ardente. Il gas venefico e le alte temperature dei flussi piroclastici trasformarono in breve tempo la città piena di vita in una necropoli che oggi costituisce un eccelso esempio di museo a cielo aperto, purtroppo sottoposto a tutte le fragilità contingenti: tombaroli, agenti atmosferici, posizione altamente sismica e prospicente «l’arida schiena del formidabil monte sterminator Vesevo» (La ginestra, Giacomo Leopardi).
Come preludio alla visita del Parco archeologico all’aperto, le guide ci consigliano di esplorare dapprima l’Antiquarium, il museo al coperto riaperto un anno fa, completamente rinnovato. Questo spazio è concepito come terza tappa di un «museo diffuso» che comprende dapprima gli scavi per portare alla luce i reperti e, in seconda istanza, i restauri di quelli più importanti. Gli ambienti rinati mostrano i ritrovamenti più significativi che illustrano per sommi capi la storia di Pompei dalle origini alla triste sepoltura e ci sono anche i rinvenimenti più recenti come i calchi delle due vittime estratti nel 2020 da una villa di Civita Giuliana. L’allestimento permanente comprende sei sezioni ripartite su undici sale molto luminose che si percorrono in poco più di un’ora.
Diversi i luoghi pubblici che rimandano alla storia di Pompei in quanto parte dell’Impero romano: il Foro centrale (piazza principale) con i vari templi dedicati agli dei, la Basilica dove si amministrava la giustizia, il Teatro Piccolo semicircolare per spettacoli di musica e poesia, il Teatro Grande a ferro di cavallo per pièce tragiche, comiche e satiriche, il Quadriportico dove si allenavano i gladiatori, l’Anfiteatro ellittico dove gladiatori e belve davano spettacolo e, tra le vigne verdeggianti, l’Orto dei Fuggiaschi con i calchi di tredici famigliari spirati quel fatidico giorno; proprio qui si legge sui volti il dolore umano che rende uguale ogni vita, senza badare al ceto sociale.
Scarpinando sul selciato millenario e irregolare si attraversano i ritrovi pubblici affacciati sulle vie principali come in una città moderna: taverne, botteghe, alcuni Thermopolia (tavole calde, fast food diremmo oggi), postriboli, le Terme Stabiane, i Granai del Foro. E poi ci sono le stupende vestigia delle residenze private (quelle aperte), dette «case», un tempo lussuose dimore di personaggi di rango oggi denominate con vari nomi a dipendenza degli oggetti trovati come la Casa del Fauno (2970 mq, II sec. a.C.), la Casa degli Amorini Dorati, la Casa dei Mosaici Geometrici con diversi pavimenti superstiti, la Casa del Menandro e molte altre con i resti degli ambienti tipici delle ville romane decorate con mosaici e pitture parietali. Qui bisogna dire che, per ovvie ragioni di conservazione, la gran parte degli oggetti d’uso comune dissepolti in queste residenze (suppellettili, utensili di bronzo o vetro), molti affreschi e svariati mosaici come quelli stupendi della Casa del Fauno non sono più sul posto, ma si trovano al Museo archeologico nazionale di Napoli (Mann) che dedica un gran numero di stanze ai reperti di Pompei e degli altri siti d’area vesuviana. Un buon motivo per passare qualche ora anche in questo immenso istituto di ritorno all’aeroporto e completare così la storia antica della città campana.
La città morta di Pompei è più viva che mai, è in continuo fermento, non smette di sorprendere con le nuove scoperte come quella menzionata in esergo. La necropoli insomma è proprio come l’araba fenice, rinasce senza posa dalle sue ceneri grazie al lavoro certosino dei suoi archeologi che scoprono sempre grandi e piccole testimonianze del suo fiorente passato. Malgrado l’ausilio dei potenti e utili mezzi digitali, la cosiddetta realtà virtuale aumentata, bisogna pur riconoscere che l’esperienza concreta, la presenza personale tra le antiche vestigia di Pompei è incomparabile.

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