Scommettiamo sul dieci?

«Il gioco a “passadieci” si giocava con tre dadi; e si scommetteva che il valore delle tre facce superasse il numero dieci», così si legge su La vita quotidiana nei castelli della Loira nel Rinascimento di Ivan Cloulas (BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, 2019).
Si parla di un gioco che ha più di cinquecento anni e che, infatti, si trova menzionato già nell’elenco del capitolo XXII del divertente romanzo Gargantua e Pantagruel di François Rabelais, stampato in prima edizione nel 1532: «Poi, borbottando alla grossa un tocco d’orazione di ringraziamento, si lavava le mani con vin fresco, si curava i denti scarnificando un piede di maiale e chiacchierava allegramente coi suoi. Quindi, steso il tappeto verde, metevan fuori mucchi di carte, di dadi e scacchiere. E là giocava:…» segue una lista incredibile di nomi di giochi, che in questo spazio noi riproporremo, almeno in parte, come antidoto ludico e materico contro l’era del virtuale, un’alternativa per trascorrere il nostro tempo libero.
Antico, si diceva, ma che risuona ancora oggi in molte questioni matematiche, seppure a nostra insaputa: fu di fatto fondamentale per la teoria delle probabilità. Sebbene la si faccia risalire normalmente al 1654, cioè alla pubblicazione del Traité du Triangle Arithmétique di Blaise Pascal, in verità riflessioni in merito furono già oggetto di studio di Galileo Galilei, il quale, nel 1610, si interrogò sull’incertezza del caso prodotta dai «giochi di sorte» prendendo in esame proprio il Passadieci: «Che nel giuoco de’ dadi alcuni punti siano più vantaggiosi di altri, vi ha la sua ragione assai manifesta, la quale è il poter quelli più facilmente e più frequentemente scoprirsi che questi, il che dipende dal potersi formare con più sorti di numeri: onde il 3 e ’l 18, come punti che in un sol modo si possono con 3 numeri comporre, cioè questo con 6, 6, 6 e quello con 1, 1, 1 e non altramente, più difficili sono a scoprirsi che, v.g., il 6 o ’l 7, li quali in più maniere si compongono…» da Galileo Galilei, Sopra le scoperte de i dadi (1664-1641).
Per spiegare sia il gioco sia la riflessione di Galileo, ci facciamo aiutare dal libro a cura di Michele Emmer, Matematica e cultura (Springer Editore, 2001), che nel capitolo dedicato al calcolo delle probabilità spiega che il Passadieci «consisteva nel gettare tre dadi; si vinceva nel caso che si presentasse una somma dei punti delle facce superiore a 10. È facile vedere che le possibilità di ottenere un valore maggiore di 10 sono tante quante quelle di non ottenerlo. Questa condizione caratterizza, quando si scommette alla pari (si punta 1 per vincere o 0-2 con uguale probabilità), un gioco equo in cui si ha “simmetria” tra la possibilità di vincere e quella di perdere». Tutto chiaro fin qui?
A colpo d’occhio potrebbe davvero sembrare così come viene presentato, ma, nonostante l’imprevedibilità del caso, secondo la logica delle probabilità, equo, questo gioco in verità non lo è: «Un conoscente di Galileo, che giocava di frequente, si meravigliava di vincere più spesso con il numero 11 che con il numero 12 e di osservare più spesso il 10 che il 9. Eppure questi 4 punti, con tre dadi, si ottengono tutti in sei modi. Perché allora il 12 è “più raro” dell’11? Galileo vide chiaramente che il ragionamento non era corretto. Infatti, i modi di ottenere i diversi punteggi non sono tutti equivalenti; non è confrontabile, per esempio, l’uscita 4 4 4 che corrisponde a 12, con l’uscita 4 5 2 che corrisponde a 11. La prima è ottenibile in un solo modo perché tutti e tre i dadi devono mostrare la faccia 4, mentre 4 5 2 possono uscire indifferentemente su ognuno dei tre dadi, producendo così sei combinazioni diverse. Ragionando in tal maniera, Galileo contò correttamente 27 modi diversi per ottenere 10 o 11 e solo 25 modi per 9 e 12».
Che l’invito a provare sia letto solo a scopo di divertimento e di esperimento individuale, a conferma di quanto qui illustrato, e non per scopi altri, sebbene i giochi di oggi siano meno ingenui. 

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