Sulle nevi a testa in giù

by Claudia

Adrenalina - L’orizzonte bianco visto da un’altra prospettiva: gobbe e salti (anche mortali) sono il pane quotidiano di chi pratica il Freestyle

Airolo con l’abito invernale fa rima con Freestyle. È qui, ai piedi del massiccio del San Gottardo, che ha la sua culla questa disciplina, essendo l’unica stazione invernale svizzera attrezzata per aerials (gobbe) e moguls (salti), cosa che ne fa il punto di riferimento per le squadre nazionali svizzere (e dove nei prossimi anni sorgerà il centro nazionale di allenamento). In autunno, per contro, il Freestyle lo si pratica anche a Zermatt (moguls) e Saas Fee (aerials).
Ma cosa è di preciso il Freestyle e come è nato? Le due categorie che lo costituiscono sono appunto moguls e aerials. Nella prima, divenuta sport olimpico nel 1992, gli specialisti scendono su una pista disseminata di gobbe compiendo due salti per discesa. Discese che vengono giudicate per tecnica dello sci tra le gobbe (60 per cento del punteggio complessivo), qualità e difficoltà dei salti (20 per cento) e velocità (20 per cento). C’è poi il dual moguls, dove gli sciatori si confrontano in parallelo, per ora però unicamente presente ai Mondiali. Negli aerials (specialità olimpica dal 1994), invece, i protagonisti sono i salti. Qui gli sciatori spiccano il volo da trampolini innevati, eseguendo una serie di figure e salti mortali prima dell’atterraggio. Salti che poi vengono valutati da una giuria.
Nato come elaborazione dello sci alpino attraverso l’introduzione dei salti, difficoltà di percorso e varie figure acrobatiche, il Freestyle affonda le sue radici in Norvegia. È qui che, attorno al 1930, alcuni sciatori iniziarono a usare mosse acrobatiche nell’allenamento dello sci alpino e nordico. Poco alla volta iniziò a prendere piede anche altrove: negli anni Sessanta-Settanta negli Stati Uniti vennero proposte le prime gare, col nome di «hot-dog».
Agli albori, il Freestyle era uno sport con poche regole, e dunque rischioso. Nel 1979, poi, la Federazione internazionale di sci (Fis) lo riconobbe come uno sport a tutti gli effetti, organizzando quell’anno la prima Coppa del mondo specifica; i primi Campionati del mondo portano invece la data del 1986 (e si tennero a Tignes).
Freestyle, alle nostre latitudini, fa ovviamente rima con Deborah Scanzio (nella foto), sorta di pioniera per il Ticino di questa disciplina ai massimi livelli. Ritiratasi dalle gare nel 2018 (ma sempre attiva per promuoverlo), l’oggi 35enne leventinese ha chiuso la sua carriera con quattro partecipazioni alle Olimpiadi e sette ai Mondiali, tutte consecutive, e ben 15 stagioni di Coppa del mondo.
«Al Freestyle mi sono avvicinata per gioco. Un giorno lo Sci Club Airolo, al quale ero affiliata, ha proposto dei pomeriggi alternativi per i bambini che non praticavano sci alpino» racconta lei stessa. «Siccome da piccola ero un po’ “matta” e “agitata”, e mi piaceva andare veloce, quando ho provato il Freestyle me ne sono subito innamorata! E da lì, assieme a mio fratello e alcuni amici (fra cui il fratello di Marco Tadé, ora impegnato in Coppa del mondo, ndr.) abbiamo creato il Freestyle Team Airolo».
Come una discesa sulle gobbe, il percorso di Deborah non è però stato scevro di ostacoli. Anzi, per coronare i suoi sogni ha dovuto affrontarne non pochi… «Dal 2000 al 2002 ho fatto parte della selezione junior di Swiss Ski. A 15 anni e mezzo ho però dovuto prendere una decisione molto complicata: restare in Svizzera, dove all’epoca non c’era un piano per il futuro, pochi allenamenti, e tutto a carico degli atleti, oppure scegliere di gareggiare per l’Italia dove, grazie all’entusiasmo per le imminenti Olimpiadi di Torino c’era una struttura professionale e dunque maggiori chance di crescere e inseguire il sogno olimpico. Oltre a poter avere come coach Andrea Rinaldi, in Italia avrei anche potuto far parte di una squadra di coetanei che parlava la mia stessa lingua. Non fu una scelta facile, ma alla fine optai per varcare il confine. E, col senno di poi, fu la decisione migliore che potessi prendere: se fossi rimasta in Svizzera con tutta probabilità avrei smesso».
In Svizzera ci è dunque tornata qualche anno dopo: «Terminate le Olimpiadi del 2014, la Federazione italiana scelse di non investire più sulle gobbe; un po’ come dodici anni prima aveva fatto Swiss Ski. In Svizzera, però, nel frattempo, le cose erano cambiate, grazie anche al rientro di Andrea Rinaldi. Era da tempo che meditavo il comeback, ma ero anche combattuta, perché non volevo lasciare l’Italia, che mi aveva accolta quando avevo bisogno. Così, quando fu la stessa Federazione azzurra a propormi di tornare in Svizzera, ho colto al volo l’occasione: per tutti è stata una soluzione win-win».
Per avvicinare i giovani a questo sport, sotto la spinta di Andrea Rinaldi (ora direttore gara del Freestyle per la Fis) nel 2006 è stata creata l’European Youth Freestyle Academy (Eyfa), che dal 2018 è parte integrante della Federazione sci Svizzera italiana (Tiski). «Andrea, dopo aver studiato i modelli di altre nazioni per la formazione dei giovani, ha creato la sua scuola di Freestyle con l’obiettivo di proporre un programma regolare e professionale anche a chi si avvicina a questa disciplina in Svizzera. E al mio ritiro dalle gare con piacere ho iniziato a collaborare con Tiski per la promozione del Freestyle e il reclutamento delle giovani leve. Prima della pandemia, andavo anche nelle scuole a raccontare la mia esperienza sportiva e a presentare le attività che svolgiamo con i bambini, talvolta proponendo lezioni di ginnastica con esercizi pensati per il Freestyle».
Qual è il ricordo più bello relativo alla sua lunga militanza nel Circo bianco? «Ricordo con tanta emozione il bronzo ai Mondiali del 2007: ero molto giovane; non me l’aspettavo, e c’erano tutta la mia famiglia e gli amici a vedermi. Poter condividere con loro quel momento fu fantastico! Come non dimentico nemmeno la vittoria in Coppa del mondo a Tazawako, in Giappone: il mio unico trionfo; ero felicissima che quella volta con me ci fosse Camilla Gendotti, osteopata nonché amica d’infanzia, per la prima volta con noi alle gare: credo che la serenità mentale che mi ha dato avere un’amica al mio fianco abbia influito in modo positivo sulla gara».