I gatti di San Pietroburgo

by Claudia

Reportage - Una volta all’anno, il 28 marzo, viene organizzata una festa, il Cat Day, per omaggiare i felini di Caterina la Grande, ai quali si deve la salvezza di tesori inestimabili

Le opere d’arte esposte al museo Hermitage di San Pietroburgo fanno sicuramente parte di una delle collezioni più importanti al mondo: Caravaggio, Leonardo da Vinci, Matisse, Picasso, Van Gogh e altri ancora. Ci si perde nei suoi corridoi e nelle sue sale, avvolti e cullati dalla bellezza dei quadri.
Museo voluto e realizzato dall’Imperatrice Caterina la Grande nel 1764 accanto al Palazzo d’Inverno, qui solo lei e pochi amici potevano ammirare le tante opere d’arte che comprava in tutta Europa. Numero che crebbe sempre di più, tanto da rendere necessario realizzare altri palazzi per contenere tanta bellezza. Di queste opere, oggi ne sono esposte più di sessantamila, un’enormità sebbene l’Hermitage, o museo statale, ne possiede addirittura più di tre milioni.
Conservare e mantenere in perfetta forma queste collezioni non è stato però facile. Anche perché oltre agli agenti atmosferici e l’incuria, un nemico ancora più subdolo e infido minacciò sin da subito le collezioni d’autore dell’imperatrice Caterina la Grande; stiamo parlando dei topi. Topi che si aggiravano nelle cantine, nelle stanze del palazzo e che arrivavano molto probabilmente dal fiume Neva che scorre lì vicino.
Fu così che l’imperatrice decise che l’unico modo per limitare i danni o eliminare completamente i roditori fosse quello di mettere a guardia dei quadri i loro storici nemici: i gatti. Si fece portare i felini da tutte le parti della Russia, soprattutto dalla Siberia, così che fossero liberi di muoversi in tutto il palazzo per proteggere la sua collezione privata.
Per anni, in quei saloni sfarzosi, dove sui muri erano appese stupende opere d’arte ammirate da Zar e Zarine, i gatti, a cui era stato dato lo status di guardie reali, proteggevano un tesoro inestimabile. Da allora, i gatti hanno alloggiato nelle cantine e nei saloni dell’Hermitage. Durante il periodo dell’Unione Sovietica questi felini erano stati quasi dimenticati e il loro numero era sceso drasticamente. Fino al 1995, quando il direttore del Museo, sceso negli scantinati, scoprì una colonia di gatti, malnutriti e trascurati, che ancora abitavano i sotterranei. Così, ricordandosi della loro storia, decise insieme alla sua assistente di non abbandonarli.
Certo, oggi non possono più girare nelle sale del museo, ma un gruppo di appassionati si prende cura di loro. Addirittura sono stati messi dei cartelli stradali intorno all’Hermitage che avvisano di fare attenzione all’attraversamento dei felini. Sono circa un centinaio quelli che vivono negli scantinati del museo. Luoghi che un paio di volte all’anno si possono visitare per vedere la colonia dei gatti dell’Hermitage e per apprezzare il lavoro di chi spontaneamente viene ad accudirli.
Sui pavimenti dei cunicoli illuminati dalle luci al neon ci sono le ciotole sempre piene di crocchette mentre agli angoli sono presenti gli affila unghie. Appesi alle pareti, fotografie e disegni. I gatti si muovono liberamente, salgono sui tubi dei condotti dell’aria calda o si rannicchiano nei cuscini sopra i tavoli. Docili ma sempre indipendenti, si fanno accarezzare dai visitatori, guardano con curiosità la gente passare e accettano di farsi fotografare.
«I gatti sono stati importantissimi per la salvaguardia delle opere del museo» mi istruisce Olga, una pensionata che fa parte dei volontari e che viene qui due volte a settimana per prendersene cura. «Se la Grande Imperatrice non avesse avuto l’illuminazione di usare i gatti contro i topi, molte opere d’arte oggi non ci sarebbero più, divorate o rovinate dai roditori. E secondo me – continua Olga, mentre prepara il mangiare per i felini – noi Russi dobbiamo essere riconoscenti a questi piccoli e dolci felini».
I gatti le si radunano intorno, hanno sentito il profumo del cibo e lei li chiama per nome, li riconosce tutti. Poi, mi racconta che dai tempi di Caterina la Grande a oggi, solo due volte non ci sono stati i gatti all’Hermitage: la prima durante l’assedio della Seconda guerra mondiale, quando erano quasi spariti dall’edificio perché la gente li aveva mangiati per non soffrire la fame. E la seconda volta, negli anni Sessanta, quando si decise di usare prodotti chimici per eliminare i roditori. Ma fu un totale insuccesso e così si fecero ritornare i gatti.
Oggi tutto è cambiato e con circa tre milioni di persone che ogni anno visitano il museo e le nuove tecnologie per la conservazione delle opere, i gatti dell’Hermitage possono vivere tranquilli, godendosi le cure amorose dei volontari e dei veterinari. Ma anche se non devono più svolgere il loro compito di salvaguardia delle opere d’arte, la popolazione e il museo non li hanno dimenticati.
Un monumento raffigurante due gatti di bronzo è stato eretto a loro onore nella via Sadovaya. Mentre sono più di 25 anni che esiste una campagna di raccolta fondi intitolata «Un rublo per un gatto». E per finire una volta all’anno, il 28 di marzo, viene organizzata una festa, il Cat Day, che coinvolge soprattutto i bambini della città. Ognuno di loro porta un disegno o una fotografia che ha come soggetto i gatti. Fuori, nel cortile del complesso museale la banda militare suona musica allegra, mentre grosse e bianche sagome di gatto, realizzate con il legno, vengono posizionate ai bordi e lasciate decorare dai bambini con i colori della fantasia. Poi, accompagnati dai genitori, scendono nelle cantine ad ammirare da vicino i gatti; anche loro li chiamano per nome e li prendono in braccio.
È una grande festa in onore dei felini, un omaggio gentile, una riconoscenza per quello che altri gatti, prima di loro, hanno fatto: proteggere un valore inestimabile.

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