Anticipare, mirare e… scattare

by Claudia

Fotografia - Cogliere con rapidità il valore del messaggio insito in una data situazione e tradurlo in immagine sono le caratteristiche di uno street photographer

La fotografia di strada – nota anche con l’inglese street photography – vanta una lunga e ricca tradizione. Grosso modo si può dire che nasca con l’avvento di macchine fotografiche portatili, già sul finire del XIX secolo, e con lo sviluppo di pellicole sufficientemente sensibili, e dunque veloci, per poter registrare situazioni dal vivo. Ma il suo pieno affermarsi lo si avrà solo a partire dal primo dopoguerra, quando verranno introdotti con successo i piccoli apparecchi fotografici formato 135 – quelli, per intenderci, che producono negativi di 24×36 mm di dimensione e che ancora oggi vengono largamente utilizzati dai fotoreporter e dai fotoamatori. Tra i primi apparecchi di questo tipo sul mercato troviamo le famosissime Leica, ancora oggi insuperate per le loro qualità ottiche.
Il fotografo di strada dovrebbe passare quanto più possibile inosservato, per non turbare la realtà con la sua presenza
Questa «corrente» fotografica prese piede in particolare negli Stati Uniti e in Francia, dove opereranno fior fiori di fotografi, pensiamo a Walker Evans, Henri Cartier-Bresson, Robert Doisneau, Brassaï, tra i grandi maestri, e in un secondo tempo a figure come Diane Arbus, Lee Friedlander, Garry Winogrand, William Klein e il nostro Robert Frank, per citarne solo alcuni.
In cosa consiste più di preciso questo tipo di fotografia? Possiamo cominciare col dire che si tratta di una fotografia eminentemente urbana, senza con questo del tutto escludere altre possibili e interessanti realtà. Ma è nelle città che il fotografo si trova di fronte a una grande varietà di accadimenti, avvolti nel loro divenire in una rete di segni, messaggi, forme, capaci attraverso i loro accostamenti di rivelare aspetti illuminanti, straordinari o meno, della nostra realtà. Sta al fotografo saper cogliere con rapidità il valore del messaggio insito in una data situazione e tradurlo in immagine componendolo adeguatamente e in modo pressoché istantaneo all’interno del proprio mirino.
Parrebbe un esercizio arduo, per non dire impossibile. E invece no. Richiede tuttavia una certa sensibilità nel rilevare – magari anche solo d’intuito – il valore simbolico, evocativo, e anche poetico, di una certa configurazione di cose in divenire, il potenziale narrativo che porta con sé. Che sia d’ordine sociale, politico o più semplicemente e genericamente umano, poco importa. È l’umanità, infatti, che sta al centro di questa fotografia, un’umanità rappresentata nei suoi variegati modi di relazionarsi con gli altri e con il mondo, nei valori che incarna e in cui s’identifica e che attribuisce alla realtà nella quale s’immerge. Oltre che urbana questa fotografia possiamo allora pure e innanzitutto definirla umanistica.
Lo street photographer vaga per le strade, e vagando poco a poco sprofonda in uno stato che a me piace definire meditativo. In cui va a stabilirsi una sorta di simbiosi tra il sé e l’oltre: volendo esagerare, potremmo quasi dire che queste due dimensioni a un certo punto coincidano, diventino un tutt’uno. Ed è forse nel momento in cui questa circostanza si realizza che si raggiunge il culmine della concentrazione, dell’attenzione e della reattività. In quel momento, un tutt’uno col fotografo lo diventa – dovrebbe diventarlo – pure la macchina fotografica, estensione artificiale del suo braccio, di grande utilità in particolar modo proprio per questo tipo di fotografia.
La sua pratica non richiede molta attrezzatura, anzi, più leggera e meno appariscente è, tanto di guadagnato: il fotografo dovrebbe passare quanto più possibile inosservato, per far sì che la realtà di fronte a lui si dipani non turbata dalla sua presenza. Piuttosto questa pratica presuppone capacità d’osservazione e velocità di reazione. Tale alla caccia, di arte predatoria e di rapina si tratta…
Osservare, dunque, anticipare la situazione, mirare e… scattare. Queste, in rapida sequenza, le fasi che si succedono fotografando per strada. Ben difficilmente avremo diritto a un secondo tentativo nel caso il primo non fosse andato a segno, ragione per cui la prontezza richiesta per questo tipo di fotografia è una qualità indispensabile, e per chi non l’avesse già di suo, il consiglio sarebbe quello di coltivarla. Come? Al solito, provando e riprovando, come si fa con qualsiasi competenza da migliorare.
Oggi, col digitale, in questo siamo molto facilitati, potendo riscontrare immediatamente la validità del risultato ottenuto, tanto dal punto di vista tecnico che da quello formale e di contenuto. Ma necessario sarà lo sviluppo di altre abilità, quelle dell’osservazione e dell’intuizione in particolare, che ci permetteranno col tempo di saper anticipare l’evento – il configurarsi di una significativa costellazione di segni, forme e luci – e, al momento opportuno, di riuscire a immortalarlo.
Dicevamo di attrezzatura leggera, poco appariscente, che non ci distingua ad esempio da un turista qualunque – figura, questa, spesso poco amata, ma di certo percepita come più innocua di un fotografo in azione. Per lungo tempo, praticando questo tipo di fotografia, mi sono avvalso di apparecchi instamatic usa e getta, con lenti in plastica, che riutilizzavo caricandoli da me con pellicola in bianco e nero. Riuscivo così a operare in modo quasi sempre molto libero e con risultati più che dignitosi, a parere di tanti.
Ora, non è necessario raggiungere tali estremi di bassa tecnologia. Vanno benissimo anche apparecchi più sofisticati che ci permettano, ad esempio, un miglior controllo dell’esposizione nelle varie situazioni di luce che incontreremo attraversando lo spazio urbano. Ottica consigliata, il classico 35 mm, che permette di portare uno sguardo piuttosto largo senza con questo avere a che fare con eccessive distorsioni e problemi di scala. In alternativa, un qualsiasi zoom grandangolo può fare al caso.
Ricordiamoci che, contenendo l’attrezzatura, godremo più a fondo di questa speciale e arricchente esperienza. Una maggior quantità di attrezzatura a nostra disposizione può, certamente, estendere il campo del possibile, ma diventa anche una pericolosa fonte di distrazione. Quando il nostro scopo, perseguendo questa pratica, sarebbe invece quello di raggiungere un completo coinvolgimento nell’istante che viviamo e di sperimentare una condizione di continua scoperta. E dunque: buone scarpinate!