Le nuove povertà/29

by Claudia

Fanny sospirò: «Non hai questo potere, l’animale giovane ha più risorse di quanto il vecchio re della Giungla… con una zampa nella fossa… può anche soltanto immaginare. Se ha creduto che ti consultavi con la cara moglie morta prima di mettere a punto una delle tue cazzate vuol dire che è predisposta a credere qualsiasi cosa. O almeno a far finta di crederci. Ha fatto delle avances? Devo stare in pena per l’onore del tuo strumento di dominazione fallica? Come si è comportato il nostro valoroso Jack?»

«Piantala. Non c’è stata nessuna avance, ci mancherebbe»

«Forse se la aspettava da te. E si è offesa».

Von Arnim si accorse che quella conversazione lo faceva sentire in colpa. Come se stesse tramando alle spalle di Betta, per nuocerle.

Decise di chiudere la telefonata, e per farlo assunse quello che Fanny aveva sempre chiamato «il tuo tono noioso».

«Betta non è una stupida e ha certamente apprezzato la mia neutralità erotica. Jack si è comportato da galantuomo, come ormai da una decina d’anni, quindi piantala. Ora io andrò a dormire e mi sveglierò tardi, come sempre. E quando mi alzerò lei se ne sarà già andata. È uscita senza borsetta, quindi le lascerò, in cucina, sul vassoio del caffè, una busta con il necessario per un taxi…»

Fanny lo interruppe. «Spero non per comprarselo, il taxi».

«Smettila. Le lascerò 50 euro con due parole gentili sul fatto che deve tornare a casa e fare pace con il suo compagno di sventura».

«E se invece gliene lasciassi 500 e dessi a Jack una prova d’appello, magari lo rimetti in funzione… a me ha lasciato un buon ricordo».

«Non ti rispondo neanche».

Fanny rise di nuovo, compiaciuta. La seconda risata risultò più roca (si era accesa un altro cigarillo) e meno innocente della prima.

Von Arnim chiuse la comunicazione prima che naufragasse nella tosse. Betta, seduta nel taxi che Thomas aveva chiamato per lei, lesse e rilesse ancora una volta il biglietto che il vecchio aveva accluso alla banconota da 50 euro. «Perdona questo gesto paterno. Non è l’ora migliore per una passeggiata senza cappotto. Il vestito rosso è per la festa. E ti sta molto bene». 

Erano le nove del mattino e la carenza di sonno le impediva di essere lucida. O almeno così sperava. Sperava che fosse temporanea, che non fosse definitiva, quella sensazione di inadeguatezza alla luce del giorno. Il cielo azzurro, percorso da svelte nuvole bianche, le feriva gli occhi. La città pulsava luminosa e sporca. Pensò che il mattino, aggravato dal grido intermittente delle ambulanze bloccate nella morsa del traffico, non le aveva regalato quel senso di pagina bianca, di giornata da inventare, di gratitudine per il dono della vita che andava predicando da anni, a Sara, a Tom, e che, in tempi migliori, riusciva a somministrare anche a sé stessa. Non l’aveva preso, poi, il vestito rosso, che era rimasto poggiato sul tavolo della cucina, in una busta bianca. E non sarebbe andata alla festa. Non avrebbe rivisto il vecchio, e il vecchio sarebbe scomparso dalla sua autobiografia, come un episodio marginale e poco significativo, i soldi li aveva presi perché ne aveva bisogno. Doveva arrivare a casa, affrontare Tom, togliersi quella tuta sudicia di dosso, riprendere il suo telefono, cucinare qualcosa per Sara, nascondersi agli occhi del mondo, almeno finché perdurava quello scompiglio mentale che le impediva di stabilire la giusta gerarchia fra i suoi dolori e i possibili rimedi per curare quelli curabili. 

(29 – Continua)

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