Oggetti senza frontiere

Alzi la mano chi non ha mai collezionato qualcosa, almeno per qualche tempo. Lecito chiedersi perché e cosa spinga ad accumulare articoli rari quanto comuni, preziosi quanto dozzinali e quasi sempre impossibili da spolverare, che a un certo punto chiedono spazio. «Il mio sogno è quello di trovare un locale, una sorta di grande magazzino in cui esporre tutti i miei oggetti, restituendo loro una vita adeguata alla loro origine e alla loro storia. E mi metterei lì, seduto, a contemplare un po’ uno e un po’ l’altro…».
A parlare è Robertino Bay («nome di battesimo anche se alcuni pensano sia un diminutivo, detto Roby»), dalla collezione, «molto particolare» come egli stesso ammette, di oggetti uniti da un comun denominatore: «Erano destinati a essere distrutti, già in cattivo se non pessimo stato, che stavano prendendo la via del rigattiere o, in certi frangenti, del camino. Sono riuscito a salvarli davvero a due minuti dalla mezzanotte».
La sua è una collezione alquanto bizzarra che, scopriremo, va dall’insegna luminosa «Uscita di sicurezza» attaccata in fondo alle scale di casa, ai quadri vintage originali di una nota marca di jeans, passando per le vecchie casse di birra in legno, le sedie originali di un antico bar del Locarnese dove lui è cresciuto e via dicendo. Fra i motivi che lo spingono a questo tipo di ricerca certosina, uno su tutti: «Si sviluppa da subito un rapporto empatico con quello o quell’altro oggetto; non so spiegare bene, ma credo ci sia una sorta di energia che quella cosa mi trasmette: magari non l’ho mai vista prima, mai posseduta, però mi sento attratto dalla sua energia».
E vedremo che l’attrazione non si ferma a questa sensazione istintiva… Ci invita a osservare un grande nano da giardino (sarà alto 60 centimetri) alle nostre spalle, che fa bella mostra di sé nel salotto di casa: «Quando l’ho trovato era sporchissimo e tutto rovinato: aveva la testa e una mano staccate. Però, quando l’ho scoperto nel giardino del vicino ridotto in quel modo, buttato in un angolo, ho subito immaginato quello che adesso voi vedete: un nano rimesso a nuovo, con una nuova gioiosa espressione degli occhi». Definendosi «un po’ sfacciato» racconta come ne è poi entrato in possesso: «Ho chiesto semplicemente al mio vicino di donarmelo qualora lo avesse buttato e così è stato».
In questa sua passione ha coinvolto un amico «restauratore d’arte nelle chiese fiorentine», al quale chiede puntualmente di aiutarlo a ridare smalto e nuova vita agli oggetti che egli «salva» dalla distruzione o dall’oblìo. La psicologia insegna: alla base di questa collezione non manca una certa eccentricità legata alla stravaganza di un collezionista, persona comune come tutti noi, con l’hobby della raccolta di oggetti di ogni sorta. Ma proprio di ogni genere, e ne avremo conferma quando Roby ci parlerà della sedia recuperata alla chiusura di uno storico bar del Locarnese, con la scritta «Micio» dipinta su ogni sedia da un noto artista della regione. Dal nano da giardino alla sedia e alle vecchie casse di legno della birra di cui una è stata «il primo oggetto della mia collezione»: «Una volta tutto era trasportato e consegnato con le casse di legno (saponette di Marsiglia, bottiglie di vino e, per l’appunto, bottiglie di birra). Erano molto belle e portavano spesso un logo. La prima che ho recuperato era già accanto al camino per diventare legna da ardere».
Quando gli viene confermato che «sarebbe andata in fumo», egli chiede di poterla avere: «Fossi arrivato dieci minuti più tardi… E invece, sempre grazie al coscienzioso restauro del mio amico, oggi vedete questa cassa di legno massiccio, importante, con un numero di serie gravato a fuoco oltre al disegno di un leone rampante che impugna la bandiera di una nota marca di birra». Oggi quella cassa di birra ne contiene un’altra, piccolina, sempre rigorosamente «salvata» e restaurata: «Dentro c’è un elmetto della polizia militare che ha diversi anni. Sopra ci ho posato un casco di un pompiere americano in lamierino (ndr: metallo)».
La descrizione che Roby fa mentre lo mostra è come un viaggio nella storia e nel tempo: «Collezionare questi oggetti mi permette di studiare e capirne la provenienza: ho scoperto che questi elmetti dei pompieri americani erano originariamente in cuoio, attorno agli anni ’50 sono diventati in lamierino e poi in plastica. Sono così riuscito a datarne il periodo, grazie anche all’etichetta in carta della fabbrica produttrice che riportava numero di serie e indicazione a penna. Davanti c’è una patch in cuoio perché i vigili del fuoco americano così si distinguono in quelli attivi sulla scala e quelli addetti all’autopompa: sulla patch si trova funzione, numero dell’unità e nome del corpo».
Gli piace pensare di essere una sorta di «archeologo» degli oggetti trovati: «Non si tratta solo di collezionarli, ma mi importa raccogliere informazioni, capire la provenienza e il giro che quell’oggetto ha fatto per arrivare fino qui. Se penso che ho trovato questo elmetto americano in città vecchia a Locarno ma viene dall’America… ho provato a immaginare il periplo che negli anni può aver fatto per arrivare qui da noi». Non sono solo desiderio di possesso e perfezionismo le spinte principali di Roby che, infine, ci parla dell’oggetto del desiderio: «Avere un sedile da jet». Comprensibile il motivo per cui sogna di avere la sua collezione in «un grande magazzino o locale» dedicato.

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