All’inizio del suo libro Storia del flirt (Editori Riuniti, 2001), la storica Fabienne Casta-Rosaz si chiede se il flirt sia o meno un gioco innocente. Dipende dai punti di vista, risponde l’autrice, ma intanto la domanda fotografa già i lineamenti di un fenomeno prettamente moderno. Il flirt, come qualsiasi altra forma di gioco, presta il fianco all’ambivalenza che nasce nel momento in cui, come nei di giochi di ruolo, ci improvvisiamo diversi dal solito, rompendo i nostri schemi abituali. Anche il flirt, in fondo, è una sorta di gioco di ruolo, motivato dal desiderio di evasione, dalla rottura della monotonia, e dalla ricerca di un brivido. Inoltre, come in quei giochi in cui ci si mette alla prova, e si mette alla prova l’altro, il flirt implica e incoraggia un certo margine di rischio, direttamente proporzionale al piacere ricercato.
Tuttavia, riconoscere nel flirt un fenomeno prettamente moderno non è affatto evidente, dal momento che i giochi di seduzione, nelle loro svariate forme, sono parte integrante della nostra storia, e rinviano agli esiti creativi previsti dai ruoli sociali e dall’uso del linguaggio, tanto verbale che non-verbale. La tesi, sostenuta da Casta-Rosaz, che fa di quest’approccio un fenomeno moderno, si giustifica altrimenti, seguendo l’emergenza e lo sviluppo storico del termine specifico. Secondo Casta-Rosaz «la parola flirt appare negli ambienti borghesi e aristocratici verso la metà del XIX secolo». Inizialmente, prosegue la storica, «quello che si indica col vocabolo flirt non era allora che un fremito, un brivido di sensualità appena confessato. Ma esso annuncia – i moralisti della Belle Époque lo hanno ben intuito – la fine di un mondo e l’inizio di una nuova era». Una nuova era che, aggiunge Casta-Rosaz, va di pari passo con lo sviluppo di un’educazione più paritaria e con la graduale emancipazione sociale, culturale e politica della donna.
Se il termine flirt nel suo senso attuale di amoreggiamento ludico senza vincoli affettivi si impone in modo diffuso dalla seconda metà del XIX secolo, la sua storia affonda le radici nei secoli precedenti. Secondo una prima linea etimologica, all’origine dell’attuale vocabolo ci sarebbe la locuzione francese conter fleurette, nata nel XVII secolo con il significato di tenere discorsi particolarmente frivoli. In epoca successiva nasce poi il verbo fleureter, che mantiene il senso della locuzione da cui deriva. A dare ulteriore plausibilità a questa linea etimologica ci penserà anche il trattato di Horasse Raisson intitolato Code galant ou art de conter fleurette pubblicato in Francia nel 1825, in cui l’autore racconta di una certa Fleurette, giovane donna che visse nel XVI secolo e di cui il re di Francia Enrico IV si sarebbe, in piena adolescenza, perdutamente innamorato. Ciò, peraltro, lascia intendere che conter fleurette già in origine possedeva quella sfumatura semantica associata all’amoreggiare per gioco.
Ma c’è un’altra linea di sviluppo, che spiega come mai sia stato il termine inglese to flirt a imporsi e a entrare stabilmente in molte altre lingue, nonostante un senso originario del vocabolo piuttosto lontano dalla sua moderna accezione. Il verbo inglese to flirt, già attestato nel tardo medioevo, rinvia infatti all’atto di muoversi in modo contratto, compiendo gesti improvvisi e movimenti a scatti. Un’indagine etimologica più attenta rivela però come, a un certo punto, il termine abbia assunto nuove e inaspettate connotazioni. Nella seconda metà del XVII secolo, un popolare canto marinaresco alludeva all’atto femminile di muovere il ventaglio (to flirt the fan) non tanto per farsi aria, quanto per inviare agli uomini dei messaggi romantici codificati. Da qui in poi, si suppone, il termine assume e generalizza quelle sfumature giocose e cristallizza quegli atteggiamenti romantici che ne caratterizzano l’accezione conosciuta ancora oggi.
Come spesso succede con le novità che provengono dall’estero, quando nella Belle Époque il sostantivo inglese flirt si diffonde in modo significativo sul continente europeo, il termine viene accolto con un misto di entusiasmo e preoccupazione. Con gli anni, e con l’imporsi di una società fondata sul consumismo e il conformismo, la carica sovversiva e il carattere ludico di questa pratica vengono progressivamente addomesticati. Il sito di una nota rivista femminile, per esempio, afferma che «flirtare è una piccola guerra d’amore, un gioco di cui godere con leggerezza, ma anche un’arte che va sperimentata e consolidata con molto esercizio». A sentire queste parole si direbbe che il flirt, più che un piacere estemporaneo e imprevedibile, sia un atteggiamento da allenare, un dovere da coltivare con disciplina. Per flirtare con successo, continua il sito, conviene seguire cinque semplici consigli: «essere intraprendente ma non troppo, essere una seduttrice non verbale, essere preda che lascia tracce di sé, avere autostima, essere parte attiva del gioco».
Ci si potrebbe chiedere se, nel mondo patinato della rivista, flirtare serva solo a perfezionare la propria autostima oppure se, all’opposto, non sia piuttosto un vuoto esistenziale, e una fragilità identitaria, a motivarne il regolare esercizio. Non è difficile immaginare, a questo punto, che i consigli su come flirtare con successo si trovino con una certa frequenza anche sulle riviste destinate a un pubblico maschile, magari conditi con istruzioni dettagliate su come scolpire gli addominali.
Per fortuna, a restituirci la poesia del flirt ci pensano prodotti culturali di ben altra fattura, come il recente film Licorice Pizza di Paul Thomas Anderson. Ma c’è chi di seduzione discute con spirito critico, come la filosofa argentina Tamara Tenenbaum ne La fine dell’amore (Fandango, 2022; vedi articolo di Laura Marzi, a pagina 8), un saggio lucido e sensibile sull’amore contemporaneo. Parlando dei rapporti amorosi in epoca digitale, Tenenbaum nota en passant come nelle popolari app di incontri, «quel che hai davanti non è una persona, ma un profilo, e un profilo che non dice quasi nulla, con il quale non interagisci, e i cui gesti non è necessario leggere e capire: il profilo non bisogna sedurlo, né farlo sentire sicuro, a suo agio. Devi solo decidere (…) se comprare o non comprare».
A questo punto, viene quasi voglia di abbandonarsi alla nostalgia di un tempo passato in cui la seduzione veniva affidata al movimento di un ventaglio.