Il cacciatore di… ricordi

by Claudia

Collezionismo - Oggetti davvero inusuali per non dimenticare persone e fatti di vita famigliare

I ricordi ci accompagnano per tutta la vita e spesso ci aiutano a scrivere la nostra storia personale e famigliare. Essi sono in grado di raccontare tanto di noi quanto delle nostre scelte. Augusto (nome noto alla redazione) ci riceve nello studio di casa sua a Bellinzona e subito riconosce di aver scelto un modo alquanto inusuale di collezionare emozioni legate a ricordi anch’essi tanto intensi quanto originali: «Non credo di essere un collezionista di quelli classici, che accumulano tanti pezzi della loro passione, ne cercano continuamente e farebbero carte false per riuscire ad avere quello più raro, più introvabile, più nuovo e via dicendo».
La sua collezione contempla alcuni fucili e qualche arma bianca: «Queste armi sono pietre miliari della mia famiglia e le ho radunate perché mi rammentano fatti e persone: sono una collezione di ricordi». È il filo conduttore che accomuna questi oggetti così diversi fra loro, spiega il nostro inusuale collezionista, «sono armi fuori commercio e per me non hanno un valore venale bensì emotivo».
Il suo primo pezzo risale a quando era ragazzino e il nonno gli raccontava cosa faceva con la sua spada, una daga svizzera, quando era soldato del treno e prestava servizio durante la prima guerra mondiale: «Questa spada non serviva per attaccare il nemico, né per offendere, ma era un attrezzo da lavoro molto importante che lui utilizzava per tagliare le balle di paglia e di fieno nell’accudimento dei cavalli del treno, oppure era usata come attrezzo di lavoro per i fabbisogni più disparati, trattandosi di una spada robusta e tagliente».
Questa spada ha ribaltato il paradigma dell’offensività delle armi bianche e gli è stata consegnata dopo la morte del nonno: «Ero già adolescente e mi è stata regalata da mio zio quando ho iniziato a frequentare la scuola di elettromeccanico, con il compito di restaurarla». Cosa che ha fatto, rendendo onore al nonno e a quel suo primo oggetto della collezione: «Ci tengo in particolar modo per l’uso che mio nonno ne aveva fatto e pure perché mi riporta alla mia infanzia trascorsa in gran parte con lui e con mia nonna sui monti dove andavano per accudire gli animali».
Poi è arrivato un vecchio fucile a pompa, con una storia originalissima che si interseca con l’emigrazione in America degli anni Trenta: «Questo fucile è arrivato in Svizzera dall’America, contrabbandato nel baule dell’automobile di un altro mio zio emigrato». Subito, avere fra le mani questo altro pezzo gli permette di far emergere il «collezionista di ricordi»: «Quello che per noi era “lo zio d’America” non aveva voluto andare in California a mungere mucche come la maggior parte dei migranti, ma si era fermato a Detroit dove aveva iniziato a lavorare come meccanico, cambiando olio e gomme alle auto, sebbene non ne avesse mai viste e non ne avesse una benché minima idea».
Scopriamo che durante la seconda guerra mondiale quello zio intraprendente era poi diventato cuoco nelle cucine degli operai dell’industria bellica americana, sempre a Detroit: «Si era integrato perfettamente e aveva acquistato questo fucile per andare a caccia di anatre con dei suoi amici americani. Fino a quando, nel ’65, ha deciso di rimpatriare definitivamente portando con sé tutto quanto possedeva negli Stati Uniti: armi, automobile e tutto il resto. Quest’arma mi ricorda l’intera storia di quel mio zio che aveva fatto da passeggero quell’ultimo viaggio sulla nave in cui in precedenza aveva sempre prestato servizio nelle cucine per pagarsi i viaggi in visita da noi».
In Svizzera quest’arma era una novità: «Qui da noi, quando la usava per andare a caccia, suscitava grande curiosità perché qui c’era la doppietta (con due canne) e non si conosceva il fucile a pompa». Fucile poi regalatogli dallo zio d’America, oramai anziano, alla fine degli anni Settanta: «L’ho conservato insieme a tutta la storia di migrazione e rimpatrio che porta con sé». Egli conserva pure il fucile di suo padre: «Quello con cui, per tradizione di famiglia, mi ha insegnato a sparare. Viene dalla Cecoslovacchia ed è fatto ancora in gran parte a mano, perché ai tempi non c’era l’industria di oggi». E ancora: «Questo è il fucile di Erico, un amico di mio padre e di mio zio con cui andavano a caccia: appassionato di intaglio su legno, faceva sculture per hobby e perciò il suo fucile ha degli inserti in osso e decorazioni intagliate da lui».
Altra arma bianca, altra storia: «Il mio pugnale è uno spadino da ufficiale dell’esercito svizzero (modello 1943 perché in quell’anno era stato introdotto) ed è il simbolo di comando che era consegnato agli ufficiali e ai sottufficiali dell’Esercito al momento della loro promozione». Per Augusto è un riconoscimento della Patria che, con i gradi, gli ha assegnato un compito suggellato per l’appunto dalla consegna dello spadino.
Tutte armi custodite con cura, a casa, «dove non è possibile accedere per ovvi motivi di sicurezza. Vorrei tanto che un domani queste armi non andassero perdute, e soprattutto che mia figlia conservasse il mio spadino come ricordo di suo padre, così come ho fatto io con le altre armi di famiglia, tenute con tutti i ricordi delle persone da cui le ho ereditate».
Augusto e la sua inusuale collezione dimostrano che i ricordi belli sono dei tesori preziosi che nessuno al mondo può toglierci: ci aiutano a ricordare e a non buttare mai nell’oblio tutti quei momenti felici trascorsi con i nostri cari, con gli amici, la nostra infanzia, le risate nelle belle serate trascorse in compagnia. Anche se talvolta portano un’ombra di tristezza: «A volte mi danno pure un po’ di nostalgia: mi spiace che non ci sia più quella gente, con cui ho vissuto dei bellissimi momenti, devo accontentarmi del loro ricordo di cui questi oggetti restano testimoni».