La fortuna ha gli occhi a mandorla

by Claudia

Collezionismo - Tra i «ricordi asiatici», ad ammirare una collezione che tale non è

«Questa è quella più antica, questa è ricavata da un bambù. Ed ecco l’imperatore con l’imperatrice!» E ancora: «Questa così grande è il “pezzo forte” e non è fatta con legno d’acero come di consueto, bensì con un pezzo di tronco di betulla… forse è stata la bambola preferita di una bambina». E naturalmente: «C’è la prima, questa con l’ombrellino, che ho preso quasi per scherzo». Così come arriva l’ultima: «L’ho trovata qualche anno fa a Bellinzona durante il festival giapponese Japan Matsuri».

Alessandra ci accompagna in quello che definisce il luogo della casa che custodisce «i ricordi asiatici», dove scopriamo un’intera collezione di bamboline Kokeshi: le bambole in legno originarie del nord del Giappone, nelle province di Sendai e Miyagi nel Tohoku, regione nota per i suoi stabilimenti termali, «dove le Kokeshi venivano date in dono come souvenir portafortuna». Colorate, di diverse dimensioni e delicati tratti somatici, ciascuna con quei dolci occhi teneri e una propria caratteristica, fosse il colore del kimono, l’ombrellino che porta in mano o qualche altro dettaglio tutto da scoprire. «Ognuna di queste bambole è creata manualmente da un artigiano, a partire dalla lavorazione dei blocchi di legno grezzo necessari per ottenere la sua forma, fino alla delicata operazione di pittura del viso e del motivo del kimono che indossa. Ogni Kokeshi è fatta e dipinta a mano da un artigiano giapponese del quale troviamo l’ologramma sul fondo, e ciascuna ha un aspetto unico».
Così la nostra interlocutrice ci introduce in quel mondo asiatico tutto da scoprire, mostrandoci le sue Kokeshi che impariamo a distinguere fra «dento» e «shingata» Kokeshi: «Sono tutte prodotte a partire da un blocco di legno scelto con cura e stagionato per mesi: le dento più scure sono di legno di ciliegio, quelle più chiare sono di legno mizuki. Nel caso delle shingata, il legno prescelto è spesso il corniolo, duro e flessibile». Alessandra puntualizza di non voler parlare di collezione e ribadisce: «Fino a questo momento in cui ne stiamo parlando, non me la sono mai immaginata come una vera collezione; erano una serie di ricordi legati al motivo per il quale le ho comprate, una dopo l’altra…», «non sono nate come una collezione, ma come un ricordo tangibile di una parte ben definita della mia vita e rientrano nella gioia che provavo ad andarle a scovare nei mercatini di Tokyo». Quindi, «non una collezione» di bambole Kokeshi, ma tutta un’altra storia risalente alla sua permanenza a Tokyo dal 1987 al ’90, un periodo che le chiediamo di raccontarci.
«Per ragioni professionali di mio marito abbiamo vissuto qualche anno in Giappone, a Tokyo, periodo durante il quale collaboravo con un noto quotidiano ticinese (la terza pagina!) per il quale ho inviato in totale una ventina di articoli». La prima bambolina arriva così, e nello stesso modo ne seguono altre: «Ogni volta che me ne veniva pubblicato uno, un po’ per gioco, mi sono gratificata andando a cercare una Kokeshi». Un articolo, una Koheshi, un altro articolo, un’altra Kokeshi, tutte diverse l’una dall’altra e tutte non sempre facili da trovare: «Quelle tradizionali le ho comprate nei mercatini delle pulci dove i figli o i nipoti degli anziani che morivano portavano tutte le cose a loro appartenute di cui volevano disfarsi. Ciotole in ceramica, kimono, stoffe, bamboline: erano il bottino dei rigattieri che ogni domenica mattina erano ai mercatini delle pulci fuori dal parco principale a Tokyo».
Oggi le Kokeshi hanno varcato i confini giapponesi e se ne trovano un po’ ovunque: «Si possono acquistare anche negli shop online, ma a mio avviso quelle che si vendono adesso non hanno una loro anima». Intanto, ne mostra una che ha comprato in Giappone, sotto la quale si può vedere l’ologramma inciso a mano da chi l’ha creata: «Queste sono quelle vere: si vede l’ologramma e si sente fisicamente la differenza del materiale: anche quelle odierne sono in legno, ma è differente da quello che maturava per anni prima di essere utilizzato, perché anche la loro realizzazione, allora, seguiva un rituale preciso».
Ad ogni modo, oggi le sue bambole sono molte di più della ventina di articoli pubblicati: «Ho continuato a comprarne, ma non come una collezionista, perché dovevano sempre attirarmi in qualche maniera: non era importante avere la bambolina presa al mercatino ogni settimana; non mi importava incrementarne il numero, ma stabilire una certa “connessione”. So che sono oggetti inanimati, ma in un certo senso sono delle vere e proprie portafortuna e perciò hanno una loro specifica energia che dovevo sentire per avere voglia di comprarle».
Le Kokeshi sono delle portafortuna: ecco spiegato perché se ne trovavano solo in quei mercatini delle pulci soprattutto quando i parenti dei defunti sgomberavano la casa degli oggetti a loro appartenuti: «Se prendi o regali una bambola Kokeshi, regali anche un po’ di fortuna. Ciò rende abbastanza difficile trovare quelle tradizionali perché, in teoria, non bisognerebbe mai disfarsene. Bisogna conservare per sé stessi la fortuna che si riceve, la si deve custodire con amore, non la si rovina e soprattutto non la si butta mai via». Come le sue Kokeshi portatrici di serenità e, le auguriamo, di tanta fortuna.