I principali segreti della stampa digitale

Dell’affascinante operazione di stampa di negative abbiamo già parlato in una precedente puntata (v. «Azione» del 4 luglio 2022, C’erano una volta i ricordi di carta). Ci eravamo soffermati in particolare sulla stampa in bianco e nero in quanto, per la sua relativa semplicità e duttilità rispetto alla stampa a colori, era la più diffusa tra gli appassionati di fotografia. C’era bisogno di poco: una stanza oscurabile, una lampadina rossa, un piano su cui appoggiare carte, ingranditore ed eventuali altri strumenti (forbici, timer, cartoncini per bruciature e mascherature…), tre o quattro bacinelle, un termometro, acqua corrente per il lavaggio delle stampe, e il gioco era fatto. A un costo relativamente contenuto, per l’acquisto del materiale di base e quello di consumo, si potevano passare ore e ore nella semioscurità, immersi negli effluvi chimici dei bagni di sviluppo e, volta a volta, nella trepidante attesa dell’immagine che sarebbe di lì a poco venuta alla luce.
Al di là della trepidante attesa, con la stampa digitale di tutto questo rimane ben poco. E altri sono i problemi da affrontare: il modo di procedere, le attrezzature necessarie e i costi complessivi che dobbiamo affrontare. Va fatta qui una breve precisazione: stampa digitale è un’etichetta che in realtà comprende vari tipi di tecniche di stampa, tra cui anche quella su materiale fotosensibile. La stampa digitale di cui parliamo in questo articolo è quella prodotta dalle stampanti a getto d’inchiostro, tra le più utilizzate a livello popolare per la stampa fotografica «fai da te».
Una prima e ovvia caratteristica che distingue le due tecniche di stampa è l’ambiente in cui vengono svolte. In una fioca penombra la stampa negativa, come detto sopra, in piena luce quella digitale. Come già sappiamo, la luce non è mai neutra, e dunque della sua influenza dovremo tener conto allestendo il nostro ambiente di lavoro. La sua intensità, ad esempio, modificherà la nostra percezione delle immagini a schermo. Una luce ambiente molto forte tenderà a farcele vedere scure, e viceversa. Quindi, una luce d’intensità media, costante – che eviti gli sbalzi dovuti, ad esempio, alla luce esterna –, e il più possibile diffusa rappresenta una buona soluzione da adottare.
Inoltre, ogni fonte di luce ha una sua temperatura, la quale ne determina la colorazione di fondo: dal bianco caldo, giallastro/bruno, al bianco freddo, bluastro, passando dal bianco neutro, che per definizione è quello della luce del sole (a mezzodì, cielo terso, eccetera). Ed è proprio solo con quest’ultimo tipo di luce che possiamo avere una lettura corretta dei colori delle immagini stampate, cosa che dunque implica il dover dotare di lampade «daylight» («luce del giorno», sui 5000°K) il locale in cui stampiamo. Naturalmente, come già detto nella scorsa puntata, è del tutto inutile adottare queste precauzioni se poi per il nostro lavoro abbiamo a disposizione uno schermo qualunque: per avere una consistenza nel lavoro, è indispensabile dotarsi di uno schermo di qualità e calibrarlo regolarmente.
Un’altra notevole differenza tra le due tecniche, negativa e digitale, è il modo di produrre l’immagine: con la stampa negativa, analogica, l’immagine viene «estratta» attraverso una reazione chimica da un foglio fotosensibile. La stampa digitale invece «dipinge» l’immagine spruzzando microscopiche goccioline d’inchiostro su fogli di carta o altri supporti inerti. Diventa dunque rilevante, rispetto a quest’ultimo tipo di stampa, tenere in conto il modo in cui il supporto cartaceo (o altro), dovuto alle sue intrinseche caratteristiche, interagisce con l’inchiostro e restituisce l’immagine stampata.
A nostra disposizione troviamo oggi in commercio un ventaglio amplissimo di materiali da stampa. Cosa buona potrebbe essere quella di testarne diversi tipi fino a trovare quelli che, per le loro caratteristiche, meglio si adattano al nostro gusto e al tipo d’immagini che facciamo.
Associati ai vari supporti troviamo i cosiddetti profili di stampa. Questi altro non sono che degli insiemi di dati che trasmettono alla stampante delle indicazioni concernenti la distribuzione dell’inchiostro in relazione al supporto utilizzato. Alcuni di questi profili sono già presenti nei driver delle stampanti (almeno in quelle dedicate alla stampa fotografica). I profili mancanti sono messi a disposizione nei siti delle case che producono il materiale da noi utilizzato.
Al momento della stampa, quando saremo interfacciati alla macchina, non lasciamo a quest’ultima la gestione del colore ma riserviamo questa operazione al nostro software di elaborazione immagini. Solo così potremo interagire attivamente, pilotando la stampante con il profilo più adatto al tipo di supporto che stiamo utilizzando.
Quindi, a causa delle proprie specifiche caratteristiche fisiche, ogni supporto ha un suo modo particolare di rispondere all’inchiostro e, di conseguenza, di tradurre l’immagine stampata. La quale, in ragione di questo fatto, potrebbe cambiare – risultando più o meno brillante, più o meno contrastata, più calda o fredda – rispetto a come l’avevamo preparata in postproduzione e la vedevamo a schermo. Grazie allo strumento del soft proofing – strumento che troviamo in ogni buon programma di elaborazione immagini – possiamo simulare a schermo con certa approssimazione quel che risulterà in stampa, e sulla base di ciò apportare delle ulteriori correzioni ai file per poter raggiungere il risultato voluto. Inoltre, col tempo e con l’uso ripetuto di certi supporti – quelli da voi utilizzati di preferenza – acquisirete l’abilità sufficiente per valutare a priori quali correzioni è meglio adottare a dipendenza del supporto scelto. L’eventuale stampa di un provino ci potrà dare infine un responso più preciso e definitivo sulle ultime modifiche da apportare.
Ecco, molto brevemente e con inevitabili lacune, quelli che a mio avviso sono tra i punti più rilevanti legati al processo di stampa digitale. In realtà, lungo questo percorso ci troviamo confrontati con tante altre questioni non indifferenti – quale stampante scegliere, in primis, ma poi anche relative alle dimensioni di stampa e ai files, agli spazi colore e gli intenti di rendering, alla produzione da sé dei profili di stampa, eccetera – che non possono essere sviscerate con un semplice articolo. Per questa ragione, vi rimando ai tanti ed eccellenti tutorial che potrete trovare in internet sui singoli argomenti.

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