Champagne: non solo bollicine e tappi

by Claudia

Dalla scoperta di un mondo particolarmente «frizzante» a una raccolta singolare il passo è breve

Quando parliamo del collezionismo di oggetti legati alle bevande pensiamo subito a uno degli oggetti di maggior richiamo rappresentato dal «tappo a corona»: quel piccolo cerchio in alluminio o in plastica con cui sono sigillate le bevande gassate. Nato per praticità, il tappo a corona ha catturato la gioia dei veri collezionisti (i cosiddetti «capsaholic»), tanto che i marchi produttori ne rinnovano il design ogni anno, per la gioia degli appassionati disposti a fare carte false per ottenere un articolo mancante alla loro collezione: chi si specializza in una bevanda specifica come la birra, la Coca Cola, l’acqua minerale o i succhi di frutta, e chi privilegia un determinato arco di tempo e la relativa produzione.
Ad ogni modo, sebbene abbia a che fare con una nota bevanda, non è questa la collezione che ci siamo trovati dinanzi sul tavolo di Marta. Complici i brindisi di fine e inizio anno, questa volta puntiamo su di un tema «frizzante». Anzi, sul «cappello» dei suoi tappi che ha uno strano perché e per come. «Anni fa ho visitato la regione dello Champagne-Ardenne, un Dipartimento francese che si trova a circa 160 chilometri da Parigi, dove tutto il territorio è un’infinita distesa di vigne e cantine per la produzione dello Champagne», così esordisce Marta, rovesciando sul tavolo una marea di capsule metalliche di tappi di champagne scintillanti e coloratissime, evidente bottino della passione che dice essere nata un po’ per caso durante le sue molteplici visite in quella regione di cui si è innamorata. «La capitale, Troyes, è una delle prime cose che ho scoperto e che ha letteralmente permesso alla mia curiosità di estendersi dal vino al tappo della sua bottiglia.Troyes ha un passato ricco di storia medievale (vi si svolgevano le foires de Champagne, le fiere) tanto da essere definita città d’arte e di storia per le sue case a graticcio risalenti al XVI secolo, per le chiese e per le caratteristiche stradine strette. Ma quello che più mi ha colpita è il nucleo del centro la cui forma precisa è di un tappo di champagne! E questa è una cosa davvero curiosa e unica al mondo».
Con le dita cerca e gioca con qualcuna di queste capsule metalliche, tanto che chiediamo come è arrivata a collezionarne così tante: «Dal centro città a forma di tappo di Champagne alle cantine dove ho imparato pian piano a intuire le differenze di produzione, composizione e qualità dei diversi champagne, ho capito che esistono una varietà di capsule che ne ricoprono il tappo in sughero. Parecchie erano davvero belle, altre meno originali, comunque diverse per ogni produttore».
Ci mostra la sua prima capsula che rappresenta una mongolfiera, spiegando il significato di molte altre fra quelle che abbiamo sotto i nostri occhi. «Molti produttori di vini personalizzano le loro capsule con il proprio logo o con un’immagine per loro significativa, legata al mondo dell’enologia. Dalle varie cantine ho così scoperto che nel corso degli anni ne sono stati prodotti migliaia di tipi diversi, risvegliando l’interesse di vari collezionisti che hanno addirittura creato siti e fiere di vendita e scambio». Però Marta tiene a puntualizzare che quelli da lei mostrati appartengono tutti a una bottiglia di Champagne aperta e bevuta negli anni: «Non ho mai pensato di acquistarne e nemmeno di cercare quelli mancanti di una cantina o di un’altra: la particolarità di questa collezione che, per ovvie ragioni, va un po’ a rilento, è che ogni capsula viene da una mia bottiglia, col ricordo di quella cantina dove l’ho comperata o di quello Champagne che mi è stato donato e magari è stato bevuto in occasioni particolari». Non è una collezione sterile e superficiale perché è legata sempre a un ricordo personale.
Belle sì, ma queste capsule sono nate per necessità, spiega Marta: «Perché una bottiglia di Champagne conservi la sua qualità e le sue bollicine è essenziale che il tappo sia di qualità e ben chiuso. Ho scoperto che inizialmente la legatura del tappo era eseguita con uno o due fili di ferro semplicemente attorcigliati, fissati con l’aiuto di apposite cesoie, ma aprire le bottiglie comportava una certa difficoltà. Allora nasce dapprima la gabbietta che tutti conosciamo. Finché nel 1844 il produttore di champagne di Châlon en Champagne Adolphe Jacquesson deposita il brevetto di una placca di lamierino preformata, liscia o con scritto in rilievo Champagne che consente di coprire meglio e abbellire il tappo». Una soluzione vincente che nel tempo ha dato i suoi frutti fino ai giorni nostri in cui le capsule sono personalizzate da ogni produttore e diventano così oggetto di interesse per gli estimatori come Marta, alla quale chiediamo quante varietà ne esistano in commercio, pensando che forse non sia facile rispondere. Ma, in questo nostro viaggio storico e frizzante, ancora una volta restiamo sorpresi: «È un numero difficile da determinare, ma si stima che siano diverse decine di migliaia, con Spagna e Francia in testa per la produzione di circa 40mila capsule diverse ciascuno».
Incontriamo Marta di mattina, quindi ci congediamo senza condividere un vero brindisi. Altrimenti questa volta la capsula della bottiglia sarebbe stata nostra, così, per avere un ricordo di questa bizzarra collezione.