C’è modo e modo di arrampicare. Dalla cordata classica, in parete, all’arrampicata senza corda, il free climbing, passando per tutta un’altra serie di varianti che contemplano ad esempio il bouldering. Ma c’è anche la variante 2.0, probabilmente la più estrema di tutte, rappresentata dall’arrampicata sul ghiaccio. L’ice climbing.
Tutto, o quasi, comincia da Walter Cecchinel, un francese che a tutt’oggi è ritenuto una sorta di padre dell’arrampicata sul ghiaccio moderna. Fu lui, infatti, che a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta sviluppò una tecnica rivoluzionaria per affrontare le pareti verticali innevate o addirittura ghiacciate. Non più, come fin lì si era soliti fare, «fianco a monte» ma «faccia a monte», impiegando una piccozza per ciascuna mano e ramponi chiodati pure sul davanti in modo da poter procedere verticalmente. Nasceva così il piolet traction, tecnica per quei tempi rivoluzionaria, che permise di andare oltre i limiti che fino a quel momento sembravano invalicabili, scalando pareti altrimenti inviolabili per la loro ripidità.
Quando il respiro si fa affannoso, non tanto (o non solo) per lo sforzo, ma perché il freddo pungente trasforma quasi in una lama pungente l’aria che entra nei polmoni, e le dita si fanno intirizzite, allora tutto si amplifica. E quella parete ghiacciata diventa un muro ancora più impervio da scalare. Ma loro non demordono. Gli ice climber, anzi, proprio in queste situazioni al limite, mostrano tutte le loro abilità di scalatori provetti.
Per affrontare una parete così ci vuole una buona dose di coraggio, oltre che una grande sicurezza nei propri mezzi. Petra Klingler, 31enne lucernese, di queste caratteristiche ne ha una buona riserva. Forgiate in anni e anni passati in cordata, a scalare pareti, normali ma appunto anche ghiacciate, per cimentarsi in quello che a tutti gli effetti è da classificare come uno sport estremo: l’ice climbing.
La via rigorosamente in verticale che l’ha condotta alle vette ghiacciate passa anche dal Ticino. È infatti qui che da bambina Petra Klingler, in compagnia dei suoi genitori, pure loro grandi appassionati di arrampicata, ha trascorso molte vacanze («fino a due-tre volte l’anno»), prima di farci ritorno, lo scorso autunno, per il Red Bull Dual Ascent, la scalata della diga della Verzasca. «Sì, spesso venivamo qui per arrampicare. In particolare a Ponte Brolla, ma pure in parecchie altre località, di cui francamente non ricordo il nome. Ma ricordo che erano tutte comunque ottime palestre naturali per affinare la tecnica. Ogni volta che venivo era una magia: vivere in una città come Lucerna e imboccare il tunnel per ritrovarsi immersi nella natura è qualcosa di straordinario, soprattutto per un’appassionata delle arrampicate come me. Poi, ovviamente, non c’erano solo le pareti di roccia in quei giorni. Molte volte, dopo una mattina spesa tra moschettoni, corde e imbracatura, si finiva la giornata a fare il bagno nella Maggia e a costruire torri con i sassi sulla spiaggia! Una tradizione che perpetriamo ancora, anche se la mia passione per l’arrampicata ha preso altre vie, in particolare quella del bouldering e dell’ice climbing. Beninteso, in Ticino ci sono tornata anche per allenarmi al Centro sportivo di Tenero con la nazionale di arrampicata».
Già, perché oltre che una grande appassionata, Petra Klingler è anche una delle migliori interpreti di questo sport in Svizzera. Prova ne è il titolo mondiale di bouldering vinto nel 2016 a Parigi, a cui si è aggiunto fresco fresco (in tutti i sensi) quello di ice climbing vinto nel febbraio dell’anno scorso a Saas Fee. «Il titolo iridato vinto a Parigi nel 2016 è stato uno dei successi più belli della mia carriera. Poi ci sono state le Olimpiadi, a Tokyo, le prime con le competizioni di arrampicata all’ombra dei Cinque cerchi, ed è stata un’esperienza altrettanto magnifica. Per preparare al meglio i Giochi avevo un po’ messo da parte l’arrampicata sul ghiaccio, per questo ai Mondiali di Saas Fee non mi presentavo con grandissime aspettative. Ma appunto per questo il fatto di essere riuscita a vincere anche quel titolo è stato qualcosa di straordinario, di veramente eccezionale!».
Il freddo lo si sente scalando? «Dipende dai casi. Le competizioni si disputano in grandi arene, che sono comunque almeno in parte riscaldate, per cui non hai particolari problemi. In parete, invece, le cose cambiano, anche se è vero che in Svizzera le temperature non sono così rigide, almeno non tanto da superare la tensione della scalata ed entrarti nelle ossa. Ma ho già vissuto situazioni ben più estreme, come in Corea, con temperature attorno ai –30 gradi: lì non è stato evidente scalare, soprattutto perché dopo un po’ di tempo in parete iniziavi a sentire un certo pizzicore alle mani per il freddo».
Hai mai avuto paura di qualcosa, in parete? «Beh, sì, mi succede spesso, devo ammettere. Soprattutto sulle pareti più imponenti. Non è lo stesso timore che può provare chi non ha mai praticato questa disciplina, ma una certa ansia la provo comunque sempre; è un po’ come avere rispetto della parete che ti sta di fronte. So perfettamente che c’è una corda a sorreggerti, ma anche così la sensazione che provi quando cadi non è mai piacevole».
Qual è allora la cosa che spaventa maggiormente Petra Klingler? «Gli infortuni, soprattutto per una sportiva come me che partecipa alla gare. Vedere vanificati i tuoi sforzi di mesi per un incidente, magari banale, è una delle peggiori cose che possano succedere. A me è capitato un infortunio quando sono tornata sul ghiaccio dopo le Olimpiadi. Tanto io quanto i miei allenatori eravamo perfettamente coscienti che un certo rischio lo comportava tornare a preparare una disciplina impegnativa come l’ice climbing e per giunta farlo con un obiettivo così ambizioso come i Mondiali, e dunque alzando non poco l’asticella. Ma è andata tutto sommato bene: recuperata la salute dopo l’infortunio, la mia preparazione è proseguita in modo ottimale».