Sostenere i giovani, prevenire la povertà

Sono ragazzi. In un momento decisivo per la loro vita, per la loro formazione e carriera, erano pieni di speranze, eppure ora non sanno più cosa vogliono, non sanno da che parte voltarsi, hanno paura che la società volterà loro le spalle, saranno invisibili, forse saranno poveri, non era questo il loro destino, non è colpa loro, vorrebbero migliorare la loro condizione, ma non ci riescono più. Sembra un incubo, e invece è la realtà di molti giovani.
Si dice che fino all’età dei 25 anni la maggior parte dei ragazzi passi dalla scuola dell’obbligo a una formazione professionale e poi nel mondo del lavoro, gettando le basi per la propria vita lavorativa. C’è però una piccola parte che questa strada la fa in salita, senza arrivare da nessuna parte, perché deve far fronte a grosse preoccupazioni in più ambiti della propria esistenza. Si tratta di problematiche multiple, una combinazione di diversi fattori a rischio derivanti dall’estrazione sociale, problemi psicosociali, il proprio passato (migratorio o assistenziale, per esempio), e altro ancora. Questo fa sì, purtroppo, che i ragazzi in questione non riescano a conseguire nessun titolo di livello secondario fino ai 25 anni (sono quasi il 10% secondo l’Ufficio federale di statistica) e che quindi l’ingresso nel mercato del lavoro diventi difficoltoso, esponendoli così al rischio di povertà, anche per tutta la vita. Un altro dato statistico – sempre dell’UST – è sconcertante: il 6,2% dei giovani in età compresa tra i 15 e il 24 anni non è né in formazione e non lavora. Sono chiamati i Neet (Not engaged in Education, Employment or Training), e sono invisibili (di loro abbiamo già parlato anche sul numero di «Azione» del 7 novembre 2022). Come aiutarli?
Su incarico della Piattaforma nazionale contro la povertà, la Scuola universitaria professionale della Svizzera nord-occidentale (FHNW) ha ora elaborato una guida sulla base di uno studio del 2022 inerente al sostegno di adolescenti e giovani adulti con problematiche multiple nelle fasi di transizione. La Guida sullo sviluppo di sistemi cantonali per le fasi di transizione scuola-formazione-mercato del lavoro è destinata a chi si occupa della gestione e dell’accompagnamento nei sistemi di transizione e di aiuto e agli attori specializzati dei settori dell’integrazione sociale e professionale. Ma è anche un interessante documento per tutti, che testimonia una problematica ben presente nella nostra società e si fa portavoce di una necessaria prevenzione per queste situazioni di grande disagio.
Assodato che tutti i giovani dovrebbero avere la possibilità di svolgere una formazione postobbligatoria, si sa che nel tempo i requisiti richiesti sono aumentati. E se in Svizzera vige un buon sistema di transizione attraverso i semestri di motivazione o le prestazioni d’integrazione professionale, spesso il problema è più sfaccettato e coinvolge altri ambiti. Come la sfera personale, che include per esempio problemi di salute, disabilità, scelta inadeguata della professione; quella familiare o di riferimento, nella quale rientrano le condizioni finanziarie precarie, gli stili educativi poco stimolanti, malattie, dipendenze, rapporti conflittuali, violenze, separazioni, ma anche l’assenza di persone di riferimento al di fuori del nucleo familiare. O il tempo libero, dove sussiste a volte l’impossibilità di accesso alle diverse opportunità, la mancanza di reti sociali, l’influenza negativa di un gruppo di pari. Per quanto riguarda la formazione, lo spettro di problematiche è poi molto ampio: dai rapporti difficili tra insegnanti e allievi, alla mancanza di una scolarizzazione inclusiva, dal bullismo, alle discriminazioni razziali, sociali e di genere. Nelle aziende formatrici si parla per esempio di insufficienti competenze pedagogiche e sociali, rischi per la salute, discriminazioni. Le problematiche possono insorgere anche quando già è in atto una prestazione di sostegno e questo accade quando c’è un rapporto conflittuale, una discontinuità, o quando le famiglie non possono più accedervi. Le difficoltà derivano ovviamente anche dalla società e dall’economia: poca offerta di formazione e troppe esigenze, concorrenza, condizioni sociali che favoriscono la disparità.
Tutte situazioni che incontrate singolarmente possono essere più o meno «risolvibili», ma che insieme costringono i ragazzi in una gabbia dalla quale è difficile liberarsi. È importante, dunque, che sappiano che la situazione di forte disagio nella quale si trovano non dipende solo da loro, ma anche da problemi sociostrutturali. Questa consapevolezza, infatti, può aiutare ad alleviare la sensazione individuale di fallimento, e ridare motivazione.
In Ticino sono diverse le realtà (fondazioni, associazioni o progetti), pubbliche o private che si occupano di accompagnare i ragazzi che si trovano in questa situazione nel loro inserimento socio professionale. Tra queste la Fondazione Gabbiano, attiva in tutto il cantone attraverso diversi progetti di sostenibilità sociale. Edo Carrasco, direttore della fondazione dal 2005, mi ha raccontato come, a livello generale, il primo grande problema che riscontrano i ragazzi sia «la fine della scuola media, che si porta spesso appresso la difficoltà di trovare una propria identità. Con i livelli B poi si ha meno opportunità, un criterio di separazione non evidente da gestire. Più gravi sono i casi di “eredità” familiare: se un ragazzo è già in assistenza da piccolo, ha più del 50% di possibilità di esserlo anche a 18 anni».
La fondazione si occupa prevalentemente di ragazzi da questa età in poi, per i quali «mettiamo a disposizione un modello di presa a carico completo e ampio, ispirato anche ai progetti Forjad del Canton Vaud. Bisogna capire che il problema non è solo formativo o professionale, ci vuole un supporto completo, olistico. Un aiuto alla pratica lavorativa attraverso maestri socioprofessionali in piccoli atelier creati ad hoc per sviluppare e conoscere ambiti lavorativi, ma anche un supporto psicologico che permetta un lavoro in termini sistemici, che si concentri sulla famiglia e il contesto. L’obiettivo sarebbe quello per i ragazzi di trovare le indicazioni per reinserirsi nel mondo del lavoro entro un anno e mezzo e poi restarci».
Carrasco vede la situazione attuale preoccupante: «Assistiamo a una fragilizzazione dei giovani negli ultimi anni, anche prima della pandemia. I Neet per esempio, fanno estrema fatica nella gestione personale. Quando il disagio sociale è forte rischia di trasformarsi in disagio psichico. E più il giovane è fragile meno ha prospettive, perché il nostro mercato del lavoro è chiuso, complesso e sempre più esigente». Per Edo Carrasco una soluzione è nella prevenzione. E poi «uscendo dalla dinamica dell’aspetto lavorativo come risposta ai problemi esistenziali. Avere insomma in tutti i progetti di sostegno una presenza più strutturata, meno focalizzati sulla performance professionale e più sull’ascolto, in grado di accogliere il bisogno».

Related posts

Lo smartphone ha conquistato anche gli anziani

La noia è sana e stimola la creatività

Sognare per migliorare il mondo