Al primo ascolto sembra rispecchiare la crescita e maturazione della flautista, nei dieci anni intercorsi dal suo disco d’esordio: «In realtà questi pezzi li ho composti qualche tempo dopo avere registrato il primo album e risentono ancora della mia vena musicale di quel periodo. Però ci sono voluti molti anni per metterli su disco. I brani di questo album sono stati quasi tutti composti a Berlino, città fertile di creatività e nuove idee che ho frequentato assiduamente negli ultimi anni sino a quasi metterci le radici. Sono stati anni di grande introspezione nei quali la ricerca e il ritrovamento di una libertà interiore va di pari passo con una sempre più marcata maturità artistica. Dopo averli abbozzati ho avuto un momento di crisi, in cui ho anche praticamente smesso di suonare. Avendo frequentato per un po’ di tempo la scena berlinese, a un certo momento ho avuto voglia di uscire dai riflettori. Avevo bisogno di ritrovarmi, di trovare forse anche una certa sicurezza in me stessa. Quando poi mi sono rimessa a suonare, ho ritrovato proprio la gioia. Ho deciso che per qualche tempo mi sarei messa nel ruolo di sidewoman. Ho partecipato a diversi progetti, tra cui quelli con la Kenneth Dahl Knudsen Orchestra, con Joel Holmes, e ho registrato diversi album. Nel frattempo ho passato molto tempo a comporre. Le composizioni dell’album sono sì le prime seguite a quello d’esordio, ma ne ho composte molte altre che spero un giorno di poter incidere su un terzo lavoro…».
La fase di crisi è un momento che molti musicisti hanno dovuto affrontare. Linda Jozefowski sembra averla superata di slancio. «Sì, questo album vuole essere veramente gioioso, spontaneo, senza complessi. Ecco, era importante per me liberarmi dalla pressione che mi sentivo addosso. La cosa è stata evidente fin da subito. L’abbiamo registrato tra febbraio e marzo del 2020, proprio prima del lockdown».
Come ci racconta Linda, l’album è stato registrato durante una residenza di dieci giorni nel contesto creativo e dinamico di una comunità artistica, La Maison-Matrice, situata nella campagna del Giura. «L’ambiente è stato molto stimolante, non solo in termini di scambi e interazioni umane e artistiche, ma anche perché mi ha fatto sentire parte di un progetto più ampio. Durante l’intero processo di registrazione, aspettavo anche un bambino. Suonare in questa condizione speciale è stata un’esperienza fantastica: è stato così facile rimanere nel momento presente, essere spontanei, provare gratitudine e momenti di intensa gioia. Così abbiamo provato e registrato per dieci giorni con l’idea di concentrarci il più possibile sul qui e ora, sull’energia e l’intenzione che mettiamo nella musica, e meno sui dettagli tecnici e sugli errori».
Focus Natural è un album molto interessante, in cui si sentono echi dell’hard bop anni Sessanta, ritmi africani, tracce di flauto ipnotiche e ritmicamente complesse, insomma una varietà di stili che sono però tenuti uniti dalla presenza e personalità della leader, il cui suono è veramente maturo e autorevole, a dispetto della sua dolcezza. «È un album che dimostra come il flauto sia uno strumento potente. Tra i flautisti che mi hanno influenzata ci sono sicuramente Nicola Stilo e Yusef Lateef, ma mi sono ispirata anche a sassofonisti, e ovviamente ad altri strumentisti come Ari Honig o Steve Coleman».
Ascoltando l’album capita spesso di pensare ad atmosfere folcloriche. «Sì, è una musica che ho suonato spesso. Mi piace molto anche la musica etnica in generale. Ho studiato ritmi di un po’ tutte le culture, passando dalla Grecia ai Balcani, all’Ungheria e poi ovviamente all’India. Per quanto riguarda le influenze indiane, nel jazz sicuramente John McLaughlin con il suo gruppo Shakti è stato sempre un grande punto di riferimento. In generale ho sempre trovato interessanti anche i ritmi africani, in particolare la musica del Ghana e l’Afrobeat, ma anche la musica brasiliana».
E questa multiformità culturale è, in un certo senso, un lascito dell’esperienza berlinese.
«Berlino sicuramente mi ha portato finalmente a trovare questa libertà nel suonare che l’album vuole esprimere: Focus Natural racconta una sorta di filosofia, una certa maniera di lavorare che è spontanea, senza sforzo, creativa, nella quale il focus si manifesta naturalmente nella musica e nella sua estetica. Tutta la creatività che noi mettiamo in questo progetto – il focus – dovrebbe esprimersi in modo totalmente naturale. Credo che soltanto in questa maniera il risultato ottenuto – la musica – possa essere carica di un sentimento, di una profondità psichica. Soltanto così il sentimento che noi musicisti cerchiamo di materializzare nella nostra musica riesce ad emergere nella sua autenticità. E questo vale per ogni cosa. Se c’è stress in quello che fai, allora la magia svanisce».
In conclusione, Linda Jozefowski tiene a sottolineare un elemento che rende davvero unico il disco. «Parlando di questo stato mentale di spontaneità naturale non posso fare a meno di pensare che la particolarità di questo album sia data dal fatto che durante la registrazione ero incinta di mio figlio, quindi lo abbiamo un po’ registrato insieme io e lui. Devo dire che già lo stato mentale di una gravidanza è un flusso spontaneo, un momento di serenità, quindi anche questo ha sicuramente influito sull’atmosfera generale». Si chiama Lucas il bimbo che Linda Jozefowski ha dato alla luce dopo la registazione del disco e chissà se anche lui con il passare del tempo, riscoltandone la musica, potrà rivivere qualcosa del piacere vissuto da sua mamma nel registrarlo. Focus Natural, anche per questo, si dimostra un album veramente speciale…