I porti commerciali di Londra, da Captain Kidd al giorno d’oggi

by Claudia

Reportage - La storia dei Docklands è ricca di vicende di marinai, mercanti e avventurieri, e soprattutto di pirati e leggende che hanno ispirato romanzieri e incantato moltissimi lettori

All’inizio del XVIII secolo la popolazione di Londra superava i 600mila abitanti e il vivace porto della città consentiva il passaggio di gran parte delle merci scambiate tra l’Inghilterra e il resto del mondo. Tali sviluppi fecero sì che Londra e il suo porto svolgessero un ruolo centrale nella prima rivoluzione industriale.
Alla fine del secolo, l’attività del porto era già diventata molto più frenetica, soprattutto nei mesi di punta tra luglio e novembre. Allungandosi i tempi di attesa sulle banchine, l’ambiente diventò luogo ideale per furti e altre attività illecite. Londra si stava rapidamente espandendo come importante capitale commerciale, tanto da mettere in crisi i moli esistenti lungo il Tamigi; ormai non più in grado di far fronte alle esigenze dell’economia in crescita, iniziarono congestione e ritardi. Nel tentativo di risolvere la situazione, un gruppo di mercanti formò la West India Dock Company e propose la costruzione di un nuovo complesso portuale appositamente realizzato per gestire l’afflusso di merci.
La costruzione della West India Docks iniziò nel 1800 e fu completata due anni dopo: un’opera ingegneristica imponente per l’epoca, dotata di un innovativo sistema di chiuse e di imponenti gru idrauliche che consentivano di scaricare le merci in modo rapido ed efficiente. Il successo della West India Docks spinse alla costruzione di altri moli, tra cui i London Docks (1805), gli East India Docks (1806) e i St. Katharine Docks (1828).
I Docklands di Londra divennero rapidamente il fulcro della rete commerciale globale dell’intera Gran Bretagna, gestendo milioni di tonnellate di merci ogni anno. I docks furono considerati per oltre un secolo un collegamento vitale per il trasporto di merci, che andavano da materie prime come il cotone e lo zucchero a prodotti finiti come il tè e la porcellana. Svolsero inoltre un ruolo fondamentale nella crescita del settore manifatturiero londinese, fornendo accesso alle materie prime e ai mercati per i prodotti finiti.
La storia dei Docklands è ricca di vicende di marinai, commercianti e avventurieri. Tra gli individui che ebbero un ruolo significativo nel passato della zona vi erano i pirati che notoriamente operavano nella regione. Componevano un gruppo eterogeneo, i cui membri provenivano da Paesi e ambienti diversi, tutti accomunati da un obiettivo comune: fare fortuna saccheggiando le navi che passavano per la zona. Alcuni erano ex marinai, altri criminali sfuggiti alla legge. Molti erano ex schiavi in fuga dai loro rapitori, che nella pirateria avevano trovato il modo per guadagnarsi da vivere. Questi pirati dovettero affrontare numerose sfide, tra cui la minaccia di cattura da parte delle autorità, il pericolo di violente tempeste e il rischio di ammutinamento da parte dei membri del loro stesso equipaggio.
Uno dei pirati più famosi che operarono nella zona fu Captain Kidd, attivo alla fine del XVII secolo. Kidd, inizialmente assunto dal governo britannico per proteggere le navi dai pirati, presto si dedicò egli stesso alla pirateria, compiendo razzie nell’Oceano Indiano e nel Mar Rosso. Non erano l’oro, l’argento e i gioielli preziosi a occupare i suoi pensieri, anzi, secondo la leggenda, pare che ad aver rapito il suo cuore fosse una cassa senza pretese che al suo interno racchiudeva tre modesti sacchetti di medicine, oltre a diversi pezzi di seta ornati con strisce d’argento e d’oro, un cesto di chiodi di garofano e di noce moscata e diversi volumi di calligrafia, insieme a vari pezzi di mussola e di seta floreale, tutti accuratamente riposti. Un contenitore a parte racchiudeva nove o dieci trapunte indiane, alcune delle quali decorate con frange e nappe.
Nel 1701, Kidd fu catturato, e impiccato ben due volte! La corda, infatti, si ruppe e il corsaro morì solo al secondo tentativo. Il suo corpo fu lasciato impiccato in una gabbia di ferro sulle rive del Tamigi per oltre vent’anni, e forse anche per questo la sua leggenda continua a vivere nella regione. Captain Kidd, ispirò il romanzo L’isola del tesoro di Robert Louis Stevenson.
Nonostante la loro importanza economica, i Docklands di Londra iniziarono a declinare a metà del XX secolo a causa dei cambiamenti nella tecnologia di spedizione e dell’aumento dell’utilizzo di container. I docks non erano in grado di gestire le massicce navi porta-container che sono ormai la norma nel settore delle spedizioni e molte delle strutture diventarono presto obsolete.
Negli anni Settanta i moli erano in gran parte abbandonati e i quartieri circostanti, caduti in rovina; per recuperare l’intera area, nei decenni successivi, fu messa in atto una riqualificazione di gran parte dei vecchi bacini trasformandoli in moderni stabili per uffici, abitazioni e spazi pubblici.
Oggi la zona ospita importanti istituzioni finanziarie (situate nel quartiere di Canary Wharf, costruito negli anni Ottanta), complessi residenziali di alto livello e attrazioni culturali più o meno di nicchia (vedi articolo a destra: «I Docklands di oggi»). Basta una piacevole passeggiata lungo il Tamigi per scoprire i principali punti di interesse dei Docklands reinventati, un’area che, nonostante sia stata sottoposta a un profondo rinnovamento, rimane defilata rispetto ad altri luoghi di Londra maggiormente frequentati dai turisti.
Approfittando dell’occasione, a poca distanza da Canary Wharf si trova il Museum of London Docklands, aperto nel 2003 e a ingresso gratuito, che racconta proprio la storia di questa zona di Londra con installazioni, fotografie e infografiche.
Sebbene non svolgano più un ruolo centrale nell’economia londinese, l’eredità di questi luoghi, protagonisti della storia industriale e commerciale britannica, è ancora viva. Le imprese dei pirati dei Docklands continuano a catturare l’immaginazione delle persone e la loro presenza rimane forte nella cultura e nelle attrazioni della zona.
Barbanera e la piratessa
Altri famosi pirati che operarono nei Docklands furono Edward Teach e Anne Bonny. Originario di Bristol, Teach era noto per l’aspetto temibile e la fama di essere spietato anche a causa della barba lunga e folta, che era solito legare in trecce e alla quale appiccava fuoco per intimidire i nemici; bizzarra minaccia che gli fece aggiudicare il soprannome di Barbanera.
Nata in Irlanda nel XVIII secolo da una famiglia benestante, Anne Bonny partì invece per i Caraibi al seguito del marinaio James Bonny, che aveva sposato contro il volere dei genitori. A Nassau, un vero e proprio rifugio per i pirati inglesi soprannominato Repubblica dei Pirati, si era unita alla ciurma di Calico Jack ed era diventata una delle poche piratesse dell’epoca, nota per le audaci incursioni nel mar dei Caraibi al fianco dell’amica e «collega» Mary Read. Anche se a noi piace immaginarla sul Cutty Sark, clipper scozzese, il cui nome fa riferimento alla camiciola indossata dalla strega Nannie Dee nel poema Tam o’ Shanter di Robert Burns, pubblicato per la prima volta nel 1791. La polena della nave porta le sembianze della strega, rappresentata a seno nudo con lunghi capelli neri mentre stringe tra le dita una coda di cavallo grigia.
La macabra danza dei marescialli
Le risse, i crimini e i saccheggi causati dai pirati si ridussero drasticamente quando nel XV secolo l’Ammiragliato decise di introdurre l’Execution Dock, un sito di impiccagione per pirati e altri criminali marittimi, molto usato anche nel XVII e nel XVIII secolo.
I sospettati di pirateria erano rinchiusi nella prigione di Marshalsea a Southward fino all’udienza presso il tribunale dell’Ammiragliato. Chiunque fosse stato giudicato colpevole e condannato a morte era fatto sfilare dalla prigione attraverso il London Bridge, passando per la Torre di Londra, fino al Wapping, presunta sede dell’Execution Dock. La processione era guidata dal Maresciallo dell’Ammiragliato che reggeva il remo d’argento, un oggetto simbolo dell’autorità. Secondo il rituale, il condannato era caricato su un carro appositamente progettato, lo sledge (slitta). Gli veniva poi sistemato un cappio al collo e in testa il dead man’s cap, il berretto bianco dell’imminente esecuzione. Forse vi era un pub – The Turks Head Inn, oggi un caffè – autorizzato a servire l’ultimo quartino di birra ai condannati durante il viaggio dalla prigione al porto, forse per smorzare la tensione o per convincere i prigionieri a fare un’estrema confessione al cappellano.
Quando era il momento, i prigionieri erano condotti verso il «molo delle esecuzioni», che si trovava al largo e sotto la linea di bassa marea, poiché qui iniziava la giurisdizione dell’Ammiragliato. Per rendere l’intera prova il più dolorosa possibile, l’impiccagione avveniva con una corda accorciata; in questo modo, la «caduta» non era sufficiente a spezzare il collo e la morte sopraggiungeva dopo un prolungato soffocamento durante il quale gli arti erano soggetti a spasmi. Il fenomeno era soprannominato dagli spettatori «danza dei marescialli». Sì… spettatori. Secondo i resoconti dell’epoca il fiume era pieno di imbarcazioni e le strade affollate di persone, tutte desiderose di assistere all’esecuzione. I corpi dei pirati giustiziati erano lasciati appesi alla nave per diverse ore, fino a quando tre maree non li avessero lavati, e quelli più famosi erano in seguito incatramati e appesi in gabbie lungo l’estuario del Tamigi, per dissuadere eventuali aspiranti filibustieri.
L’uso dell’Execution Dock diminuì gradualmente nel XIX secolo al calare del numero di atti di pirateria e crimini marittimi, e il bacino fu dismesso nel 1830. Il sito effettivo del molo è oggi controverso poiché il patibolo originale è scomparso da tempo, anche se i contendenti per questa corona piuttosto dubbia sono tre pub della zona assai frequentati: il Prospect of Whitby, il Captain Kidd e il più probabile di tutti, il Town of Ramsgate.

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