Lecce, la città signorile del barocchetto

by Claudia

Itinerari d’arte - Il tripudio di uno stile artistico locale su facciate monumentali e soprattutto sugli splendidi altari del Seicento nel centro storico del borgo salentino

Anche se a più di mille chilometri da noi, Lecce è facile da raggiungere. Scesi all’aeroporto di Brindisi, una navetta ci porta in poco tempo alla stazione centrale dove su un comodo treno simile ai nostri Tilo raggiungiamo in mezz’ora la città di Lecce. Passando dal Piazzale della Stazione, da vie e vicoli del centro storico per raggiungere il nostro B&B in Piazza Sant’Oronzo, ci accorgiamo subito di una cosa assai piacevole: è tutto pulito, a fatica si trova una cartaccia che svolazza nella brezza pomeridiana, un bel biglietto da visita insomma, tanto per iniziare.
Le statistiche dicono che con 95’000 abitanti Lecce è la città principale del Salento, il tacco d’Italia e della regione Puglia, si trova a 13 km dall’Adriatico (San Cataldo) e ha un centro storico di stampo medievale pressoché intatto e percorribile a piedi. Lì troviamo tutti i beni culturali della città: parecchi palazzi con elementi architettonici di decoro che danno signorilità alle strade e trasformano in saloni a cielo aperto le piazze e, in massima parte, magnifici edifici di culto in stile barocco. Ed è proprio quel caratteristico stile, detto Barocchetto Leccese, che ci porta in questo bel borgo del sud Italia.
Tra la fine del Cinquecento e l’inizio dell’Ottocento in Europa domina il barocco; chiese e palazzi nobiliari adottarono questo rigoglioso stile che oggi fa la fortuna economico-culturale di molte città d’arte. Nel Salento ha avuto il massimo sviluppo nel XVII secolo e ha abbellito la sua città più importante come fosse una signora entrata in una sartoria di alta moda e uscita con uno splendido abito di originale fattura. Il barocco di Lecce è particolare, anzitutto per il materiale usato: non marmi pregiati provenienti da località lontane o gesso modellato, applicato e colorato, ma pietra naturale del posto, il leccisu, con cui prima di tutto sono state edificate abitazioni, residenze aristocratiche, strade e piazze. In secondo luogo, il tipo di lavorazione: le opere sono scolpite direttamente nel blocco di pietra come si fa per una statua, non si tratta quindi di decorazioni preparate a parte e applicate in seguito sui supporti (colonne, stipiti, pareti, altari) o ricavate con la tecnica dell’intarsio di marmi policromi come a Palermo. Questo fu possibile perché il leccisu, morbido al tatto e di un colore caldo, è un calcare compatto e duraturo nel tempo ma assai malleabile quindi facile da lavorare con martello e scalpello.
Per ammirare il vero barocchetto leccese ci rechiamo nella Chiesa di Sant’Irene dei Teatini, a due passi dal Duomo, che è appena stata riaperta al pubblico dopo consistenti restauri. Si tratta di un edificio del 1591 assai importante perché fino al 1656 Sant’Irene era la patrona di Lecce, in seguito declassata per far posto a Sant’Oronzo che, avendo salvato i leccesi dalla peste, fu proclamato nuovo protettore della città. Sopra il portale della chiesa spicca la statua della Santa e più in alto lo stemma della città, un leccio con ai piedi una lupa, scolpito appunto nella pietra locale. Ma ciò che attira la nostra attenzione è l’altare dedicato a «Irene virgini et martiri» realizzato nel Seicento; le sei colonne tortili e i rigogliosi decori barocchi di tutto l’altare in puro leccisu scolpito sono davvero spettacolari quantunque monocromi. Altrettanto lussureggianti gli altri altari (una decina) che fanno da contrasto con l’assetto piuttosto semplice e austero dell’unica navata della chiesa.
L’aggettivo «barocco» è nato con una connotazione negativa volendo indicare un’argomentazione arzigogolata, ingannevole e complicata. Per traslazione di significato, ai nostri giorni è diventato un sostantivo che indica semplicemente lo stile architettonico prevalente nel Seicento europeo, con derivazioni specifiche come nel caso di Lecce, comunque sempre improntato alla teatralità e alla magnificenza di Santi e Madonne di contro all’iconoclastia imperante nell’Europa della Riforma protestante; in quei secoli si trattava quindi di saper imprimere alla materia un certo spirito del tempo (la Controriforma), con risultati imperituri, come nei luoghi di culto di Lecce.
Lasciata Sant’Irene e dopo aver visitato la splendida Chiesa di Santa Chiara, il nostro itinerario ci porta nella Chiesa di San Matteo dalla monumentale facciata concava e convessa; nei transetti di destra e di sinistra si susseguono una serie di cappelle barocche che le famiglie benestanti della città hanno voluto finanziare per dar lustro al proprio casato, firmate quasi sempre con i loro simboli araldici impressi nella pietra. Qui, ma anche negli altri altari visti, una costante sono i puttini, gli angioletti, animali mitologici, composizioni floreali e vegetali e l’abbondanza di frutti segno della «grazia di Dio», soprattutto melograni, uva e spighe perché sono elementi simbolici usati dalla chiesa cattolica per esprimere l’unità (grappolo, spiga, melograno) nella diversità (acini, chicchi, semi).
Nella nostra passeggiata tra le bellezze di Lecce non può mancare una visita alla Cattedrale della Vergine Assunta nello splendido scenario di Piazza Duomo che comprende anche il Vescovado, il Palazzo del Seminario con chiostro, il Museo d’arte sacra e il campanile dove hanno appena inaugurato l’ascensore che porta i visitatori a 73 metri di altezza per una veduta panoramica sulla città, fino al mare. A differenza delle chiese menzionate in precedenza, nel Duomo tutti gli altari sono ingentiliti dalla doratura dei fregi che danno maggior splendore al barocco leccese… un vero spettacolo. Se invece si vogliono posare gli occhi su una maestosa facciata in barocchetto, bisogna senz’altro recarsi in via Umberto I dove sorge la Basilica di Santa Croce, un capolavoro recentemente ripulito che comprende un gigantesco rosone e una balaustra sontuosa sorretta da cariatidi zoomorfe e antropomorfe. Anche questa chiesa presenta bellissimi altari barocchi, ma è la facciata a lasciare di stucco i visitatori.
E quando uno è ebbro di barocchetto, può senza dubbio smaltire la sbornia visitando le tracce d’epoca romana come l’Anfiteatro in Piazza Sant’Oronzo e il Teatro Romano poco distante. Oppure può deambulare tra Porta San Biagio, Porta Rudiae e Porta Napoli (1548) che erano gli accessi dell’antica cinta muraria. C’è poi il Teatro Paisiello (1861), una vera bomboniera neoclassica molto simile al Teatro Sociale di Bellinzona e di estremo interesse è il Museo della Cartapesta nelle ex scuderie del Castello Carlo V dove una guida esperta spiega le peculiarità di quest’arte pure tipica del Salento. Ce n’è quanto basta per passare almeno tre giorni in immersione culturale… e anche enogastronomica.

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