Collezionismo - Una raccolta di pezzi originali che raccontano non tanto delle storie, quanto «la» Storia
«Il mio porto d’armi non ha proprio nulla a che vedere con la mia passione e mi serve solo perché lavoro nell’ambito della sicurezza. Da polimeccanico, ho sempre subito il fascino di quella meccanica rude delle armi storiche, quelle che vanno dal 1880 alle prime armi delle due guerre mondiali. È straordinario sapere che sono state realizzate con attrezzi che hanno dell’incredibile! Le prime macchine utensili erano veramente particolari per quei tempi; vi hanno costruito cose pazzesche, comprese queste armi». Daniele Frei è un appassionato collezionista di armi perché è attratto dalla storia che raccontano. Si capisce quando descrive minuziosamente ogni pezzo, attribuendogli un vissuto che esula dall’arma stessa e traccia la storia dell’essere umano.
«L’arma nasce nella preistoria con le lance, quando l’uomo aveva necessità di procacciarsi il cibo per sopravvivere. Nel tempo ha subito uno sviluppo anche per l’offensiva, che non voglio approfondire perché vedo questa collezione come pezzi da difesa o come deterrente, anche se purtroppo tutti siamo coscienti che se uno deve difendersi, è perché qualcuno lo ha attaccato». Egli respinge i pregiudizi e risponde pacatamente alle nostre domande più scomode. Ma che vanno poste, soprattutto in un momento storico che fa delle armi qualcosa di estremamente rumoroso e offensivo che vorremmo finisse quanto prima. «Io sono un detentore di armi privato e stigmatizzo la situazione bellica che stiamo vivendo in Europa e in tutto il mondo. Per questo, valuto molto bene con chi parlare della mia collezione, o a chi dare spiegazioni, a chi raccontare la storia attraverso le mie armi. Non lo faccio con chi potrebbe fraintendere o classificarmi, a torto, fra le persone “bellicose” o “fanatiche delle armi”».
Frei dimostra che si può essere collezionisti appassionati senza cadere nel luogo comune: «Un esempio di cronaca è quello del giovane americano che ha fatto una strage, subito descritto dai media come “appassionato di armi e razzista”, come fossero due concetti conseguenti». Dice che poi purtroppo la gente li collega erroneamente e fa di tutta l’erba un fascio, «anche quando si parla di collezionisti come me, che nel maneggiare un’arma sono sempre più accorti e prudenti di quanto la legge non imponga: non la do in mano a chiunque, e ricordo la prima regola: bisogna sempre pensare sia carica anche se ovviamente non lo è; in ogni caso, bisogna sempre fare le operazioni di scarica prima».
Arriviamo alla sua collezione: «Quella vera e propria è iniziata abbastanza recentemente, nel 2010. Prima, per anni ho avuto i classici vecchi fucili d’ordinanza svizzeri (modello K11 e K31 e tanti altri retrodatati). Poi ho cominciato ad acquistarne qualche altro, a scambiarli, e a frequentare le borse delle armi a Lucerna e a Losanna (per due anni si è tenuta anche a Bellinzona)». Il suo primo acquisto: «Me lo ricordo bene, era un Moschetto 31 comprato all’Arsenale di Bellinzona dove ero andato per i soliti acquisti di coperte e attrezzi dell’esercito. Quella volta, vedendo tante persone che uscivano con il moschetto in braccio, ho chiesto informazioni. Li vendevano a 80 franchi l’uno. Ho dato un’occhiata, ho ascoltato cosa si diceva (i calci più belli, le serie migliori…). Me n’era piaciuto uno, così, dopo una verifica in merito alla mia persona, sono rientrato a casa con il mio primo pezzo da collezione: una bella arma di ordinanza svizzera che ho tenuto come un gioiello».
Questi «gioielli» «sono tutti bene al sicuro, in tre casseforti, una delle quali ha una vetrina per poterli vedere senza aprire la piccola esposizione. Poi ci sono alcuni fucili, naturalmente privi dell’otturatore, appesi al muro». I cimeli hanno valore per lo più affettivo: «Quello venale varia dai 400 ai 1000 franchi, ma armi particolari come, ad esempio, quelle impiegate nello sbarco in Normandia possono anche quadruplicare di prezzo». L’arma a cui è più affezionato è la sua prima pistola: «Una SIG P220 acquistata d’occasione tramite il mio portinaio, con un permesso di acquisto della polizia, con la quale ho superato l’esame per il porto d’armi professionale».
Fra i più originali: «Ho un fucile Enfield N°1 Mk3 del 1944: il calcio di fucili come questo è realizzato in legno particolare; è di origine inglese, costruito sotto licenza in India, esportato in servizio in Sudafrica e usato da polizia o militari. Gli inglesi colonizzavano il mondo e davano la licenza di produzione degli Enfield alle nazioni del Commonwealth». Infine, altre chicche: «Una pistola usata dal KGB russo e datata 1987 (due anni prima del crollo del muro di Berlino): altre come questa erano prodotte sotto licenza in Bulgaria e nella DDR (queste ultime più rare da trovare)».
Ha ancora un sogno: «Vorrei avere un SVT Dragunov (fucile russo), sempre per il fascino dell’arma che risale al dopoguerra» E riassume la passione per la sua collezione: «Queste armi raccontano soprattutto la loro storia; quelle nuove mi interessano meno perché solo fra 50 anni potrebbero raccontare la loro, e sarà diverso. Fra il 1891 e il 1920 i russi costruivano i fucili con parti difficilmente intercambiabili: ognuno era leggermente diverso anche di 4 o 5 decimi, se non di più, e i pezzi venivano adattati con la lima uno all’altro. Oggi abbiamo tolleranze a livello centesimale e tutto è omologato a norma, senza storia e senza gloria».