Per contrastare il cambiamento climatico

La Svizzera vuole ottenere la neutralità climatica entro il 2050, riducendo il consumo di petrolio e gas naturale. Per raggiungere questo obiettivo, sicuramente ambizioso, il Parlamento ha adottato lo scorso autunno la Legge federale sugli obiettivi in materia di protezione del clima, sull’innovazione e sul rafforzamento della sicurezza energetica, contro la quale l’UDC ha lanciato il referendum, sostenuto da più del doppio delle 50 mila firme necessarie. Per questo partito, è una legge «assurda, inutile e costosa», oltre che «divoratrice di elettricità». Per i sostenitori, la legge è invece moderata perché «mira a decarbonizzare il nostro sistema energetico senza divieti e tasse». L’ultima parola spetta dunque al popolo: il 18 giugno dovrà decidere se è disposto a rinunciare progressivamente alle importazioni di combustibili e carburanti fossili, con una Svizzera più indipendente dal profilo energetico (ora circa il 75% dell’energia è importata), accettando inevitabili sacrifici, soprattutto finanziari. Secondo i sondaggi, il progetto ha il vento in poppa.

La legge in votazione, che dovrebbe entrare in vigore il 1° gennaio 2025, funge da controprogetto indiretto all’iniziativa popolare «Per un clima sano (Iniziativa per i ghiacciai)», depositata nel 2019, che mira a vietare l’impiego di nafta, benzina, diesel e gas naturale a partire dal 2050, iniziativa di cui è stato deciso il ritiro condizionato. Ciò significa che se la legge fosse respinta, l’Iniziativa per i ghiacciai verrebbe sottoposta al voto popolare, probabilmente già nel 2024, sempre che non venga ritirata definitivamente. Governo e Parlamento non vogliono ancorare nella Costituzione – come vorrebbe l’iniziativa – il divieto esplicito dei vettori energetici fossili. Sarebbe un provvedimento estremo.

La legge riprende comunque l’obiettivo principale dell’iniziativa di raggiungere un bilancio netto delle emissioni di gas serra pari a zero entro il 2050. Nel 2021 le emissioni di gas serra, rispetto al 1990, erano diminuite del 18%. Per raggiungere la neutralità climatica auspicata tra meno di 30 anni occorrono sforzi maggiori. Dato che non ovunque sarà possibile ridurre a zero l’emissione di gas serra (vedi impianti di incenerimento dei rifiuti, cementifici e agricoltura), le emissioni di CO2 rimanenti, note anche come «emissioni negative», dovranno essere catturate dai serbatoi naturali (foreste) o assorbite da impianti tecnici e immagazzinate nel sottosuolo. In ogni caso, la Svizzera non dovrà emettere più quantitativi di CO2 di quelli che potranno essere assorbiti.

Una strategia difficile da interpretare e attuare. È comunque il solo modo per lottare contro il riscaldamento climatico. Più si aspetta per intervenire – affermano i fautori della legge – e più costosa sarà la fattura. Intanto anche la Svizzera – ricorda il Consiglio federale – avverte gli effetti del cambiamento climatico. Siccità, canicola, forti piogge, penuria di neve, scioglimento dei ghiacciai sono fenomeni sotto gli occhi di tutti. Sul nostro territorio, dall’inizio delle misurazioni, la temperatura media è aumentata di 2,5 gradi, contro +1,2 gradi a livello mondiale. Visto che la Svizzera produce soltanto lo 0,1% delle emissioni mondiali di CO2, i sostenitori del referendum si chiedono quale potrà essere l’impatto ambientale di questa legge. Ma la protezione del clima va affrontata globalmente, sottolineano i fautori del progetto. Per questo motivo, 193 Paesi e l’UE hanno sottoscritto nel 2017 l’Accordo di Parigi, ratificato anche dalla Svizzera, che si è impegnata a ridurre le emissioni di gas a effetto serra. Entro il 2040 le emissioni dovranno diminuire del 75% rispetto al 1990 per raggiungere appunto la neutralità climatica nel 2050.

Ma come superare questi traguardi? Per ridurre il consumo d’energia fossile, il testo in votazione vede un grande potenziale nel settore della ristrutturazione, con programmi d’incentivazione finanziaria. La Confederazione stanzierà un contributo massimo di due miliardi di franchi, spalmato su 10 anni, per il risanamento degli edifici e la sostituzione degli impianti di riscaldamento a gas o a nafta con sistemi più rispettosi del clima. Attualmente in Svizzera sono ancora in funzione circa 900mila impianti di riscaldamento a nafta o gas. Essi sono responsabili di circa un quarto delle emissioni nazionali di gas a effetto serra. Andranno rimpiazzati anche i sistemi di riscaldamento elettrici, poco efficienti e che richiedono molta energia. In inverno essi consumano circa il 10% dell’elettricità della rete svizzera. Inoltre si prevede di destinare 1,2 miliardi di franchi su sei anni alle imprese che investono nelle tecnologie rispettose del clima. Si dovrebbe così giungere a una riduzione delle emissioni pari al 90% entro il 2050.

Tutti i principali partiti del Paese, a eccezione dell’UDC, sostengono la nuova legge sul clima. Essa permetterà di proteggerlo efficacemente, consentendo al contempo alla Svizzera di liberarsi dai combustibili, dai carburanti fossili e di diventare più indipendente dal punto di vista energetico. Un’eccessiva dipendenza dall’estero (l’aggressione russa all’Ucraina ne è una prova) è un cattivo affare. Inoltre gli investimenti nelle tecnologie e nei processi innovativi offriranno nuove opportunità all’economia svizzera e favoriranno la creazione di posti di lavoro, come sottolinea la consigliera nazionale Jacqueline de Quattro (PLR/VD). A differenza del voto sul CO2, nel 2021, stavolta a difendere la legge vi è anche la maggior parte degli ambienti economici, come Economiesuisse, l’Unione svizzera dei contadini, la Federazione svizzera del turismo o l’Unione svizzera degli imprenditori.

L’UDC ritiene invece che la nuova legge provocherà un forte aumento del consumo di elettricità, proprio quando autorità ed esperti parlano di penuria di corrente e agitano lo spauracchio dei blackout. Secondo il più grande partito del Paese, raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 significa di fatto bandire la benzina, il diesel, il gasolio e il gas, ossia il 60% del nostro consumo energetico. Tutto ciò senza una valida alternativa. Di conseguenza il fabbisogno di elettricità crescerà e le bollette delle famiglie aumenteranno di diverse migliaia di franchi all’anno. Secondo uno studio del Politecnico federale di Zurigo – citato dal comitato referendario – i costi dell’energia triplicheranno, salendo da 3000 a 9600 franchi pro capite. Per l’UDC, dimezzare il consumo di benzina, diesel¸ petrolio e gas entro il 2031, ossia già fra otto anni, è una proposta irrealistica.

Anche per i suoi sostenitori la legge aumenterà inevitabilmente la domanda di elettricità. L’Associazione svizzera per la protezione del clima parla di una maggiore richiesta di elettricità che oscilla tra il 25% e il 40%, che la Svizzera sarà chiamata a coprire. «È innegabile che, in caso di accettazione della legge, i bisogni di elettricità aumenteranno a causa della sostituzione delle energie fossili», ha ammesso il consigliere federale Albert Rösti, che affronta la sua prima votazione popolare come neo ministro UDC dei trasporti e dell’energia e che è chiamato a sostenere un progetto contro il suo partito e al quale si opponeva quando era deputato.

Lo stesso Rösti, pur difendendo la legge, nutre qualche dubbio sulla capacità di raggiungere gli obiettivi fissati, ricordando che abbiamo a che fare non solo con severi parametri da rispettare entro il 2050, ma anche con un bisogno di elettricità in Svizzera che raddoppierà entro la stessa data. A suo modo di vedere, «si dovrà incrementare la produzione indigena di elettricità e procedere a massicci tagli dei consumi. La costruzione di nuove centrali idroelettriche, solari ed eoliche avrà anche un impatto sull’ambiente, soggetto a inevitabili ricorsi». I sostenitori del referendum ammettono pure la necessità di lottare contro le conseguenze del riscaldamento climatico. Occorre però agire con coerenza, senza farsi travolgere dalla psicosi ecologica e credere che con questa strategia i nostri ghiacciai domani non si ritireranno più. Poi, perché osannare la mobilità elettrica, sebbene pulita, quando si diffondono allarmismi sulla mancanza di corrente? Nella sua azione politica, Albert Rösti dà la priorità all’energia, che prevale sul clima, e sottolinea: «Soltanto quando ci sarà abbastanza elettricità, la gente sarà disposta a compiere il passo verso la mobilità elettrica e gli impianti di riscaldamento ecologici».

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