Fotografia - Fondamentali sono gli obiettivi, grazie ai quali si catturano frammenti di realtà per fissarli in un’immagine
Fotograficamente parlando, tra gli strumenti a nostra disposizione sono molto importanti gli obiettivi, dato che, grazie alle loro caratteristiche, sono essi a fare l’immagine, sia nella forma sia nella qualità.
Il corpo-macchina, pur avendo assunto col passaggio al digitale una maggiore importanza rispetto a quello degli apparecchi analogici, resta infatti una componente meno determinante, seppur ovviamente imprescindibile, nella realizzazione di una foto.
L’obiettivo è l’occhio del sistema di ripresa, è quel dispositivo grazie al quale catturiamo i frammenti di realtà che vogliamo fissare in un’immagine. Se l’ottica che impieghiamo fosse equiparabile a un fondo di bottiglia, non ci sarebbe scampo: il risultato che da questa otterremmo sarebbe conseguente, ossia poco inciso, di limitata definizione, e ciò indifferentemente dalla qualità della macchina utilizzata.
Sia chiaro, con ciò non si vuole dire che il valore estetico di un’immagine si fondi su questo unico o particolare criterio. Ben lungi… Ma è senz’altro un criterio da prendere in considerazione a dipendenza del tipo di fotografia che vogliamo praticare. Se questo, ad esempio, richiede un’alta definizione – ad esempio nel caso di still life pubblicitari o di riproduzioni d’arte – non potremo prescindere dall’uso di un’ottica di qualità che, inevitabilmente, comporterà costi d’acquisto piuttosto elevati. Teniamo però conto che, a differenza degli apparecchi fotografici attuali, se ben trattato, un obiettivo può durare una vita. E valere dunque il sostanzioso investimento.
Ogni obiettivo ha una sua apertura massima che lo caratterizza, chiamata luminosità. Più è ampia, maggiore sarà la sua duttilità e, di norma – a causa della quantità e della qualità delle lenti impiegate per la costruzione –, il suo costo. Attraverso il diaframma, l’ottica controlla la quantità di luce che va a colpire la parte sensibile del nostro dispositivo di ripresa. Più aperto è il diaframma, maggiore sarà la quantità di luce che lo attraversa, e più breve potrà essere il tempo di esposizione. (E viceversa).
Il valore di apertura del diaframma si esprime in numeri indicati col simbolo f (detti anche f–stop), i quali rappresentano il rapporto tra la lunghezza focale dell’obiettivo e il diametro di apertura del diaframma: per un obiettivo con lunghezza focale di 50 mm, ad esempio, f8 vuol dire che il diaframma ha in quel momento un’apertura del diametro di 6 mm e poco più.
Sugli obiettivi, questo valore è tarato in modo che il passaggio da un f–stop all’altro implichi un dimezzamento (o un raddoppiamento, a dipendenza della direzione verso cui procediamo) della superficie di apertura del diaf e della quantità di luce che questi attraversa. Lo stesso avviene, classicamente, per i tempi di esposizione (oggi, con gli apparecchi elettronici a nostra disposizione, possiamo ormai intervenire su questi due fattori di esposizione in termini di frazioni).
Di modo che, in una situazione di luce data, a parità di esposizione, aprendo di uno stop (f–stop) il diaframma dovremo di conseguenza dimezzare il tempo di scatto. E così via. È sottinteso che tutte queste operazioni le dovremo eseguire se, come comunque vi consiglio di fare, lavoreremo in modalità di esposizione manuale.
Oltre a stabilire la quantità di luce che l’attraversa, il valore di apertura del diaframma incide sulla porzione di spazio che potremo mettere a fuoco. Più chiuso è il diaframma e più estesa sarà la profondità di campo (appunto, la potenziale porzione di spazio a fuoco all’interno dell’immagine). Non avendo problemi legati alla quantità di luce disponibile, sarà proprio questo fattore – la profondità di campo – a farci scegliere il valore di apertura del diaf con cui scattare.
Senza volerne fare una regola assoluta, un ritratto richiede un’apertura ampia, se vogliamo staccarlo dallo sfondo, mentre per avere il soggetto tutto a fuoco – ad esempio, per una foto di paesaggio – dovremo tendenzialmente chiudere il diaframma. Oltre all’apertura del diaf, la profondità di campo dipende anche dalla lunghezza focale dell’ottica usata e dalla distanza tra il piano focale e il soggetto che mettiamo a fuoco. Maggiore è la lunghezza focale e minore la profondità di campo a parità di distanza di messa a fuoco. Allo stesso modo, più vicini saremo al soggetto e minore sarà la porzione di spazio messo a fuoco dall’obiettivo a parità di diaframma.
La lunghezza focale dell’obiettivo, oltre all’ampiezza del campo di visione coperto, condiziona il rapporto di distanza tra i vari piani inclusi nella ripresa. Un teleobiettivo – focale lunga e stretto campo di ripresa – tenderà a schiacciarli. Al contrario, un grandangolo – focale corta e campo di ripresa ampio – ne amplifica la separazione. Per entrambi, il loro uso comporta una certa distorsione del soggetto ripreso. L’ottica che viene definita di lunghezza focale normale (normale relativamente al tipo di apparecchio che utilizziamo, o meglio alla dimensione del dispositivo sensibile che l’obiettivo copre) è quella che più si avvicina all’angolo di visione dell’occhio umano. Per una full frame 24×36 mm, che qui prendiamo come standard, la lunghezza focale normale si situa attorno ai 50 mm.
Ogni tipo di soggetto – e il modo di affrontarlo – richiederà una sua particolare gamma di ottiche. Pur avendo una certa codificazione legata alla storia del nostro media, nulla impedisce di sperimentare proprie soluzioni.
Per la ritrattistica, classiche sono le ottiche medio–tele (dagli 80 mm a poco oltre i 100 mm, per il nostro apparecchio standard). Foto d’architettura richiederanno più spesso focali dal normale al grandangolo, magari dotate di basculaggio, ossia di quel dispositivo che permette già in fase di ripresa di correggere le distorsioni ottiche dovute all’uso di focali corte. Per i reportage, un grandangolo, tra il 35 e il 28 mm, con una buona apertura massima di diaframma – che ci permetterà di fotografare anche in condizioni di luce precaria – accompagnato da un piccolo zoom (ad esempio, un 24–70 mm) faranno al caso nostro. Il grandangolo, tendenzialmente, sarà invece l’obiettivo maggiormente utilizzato nel campo della paesaggistica.
Come detto, qualità e quantità delle lenti impiegate in un obiettivo saranno quei fattori che per gran parte ne determineranno il costo. A ciò, vanno ad aggiungersi i materiali eventualmente utilizzati nella costruzione dell’obiettivo per resistere a condizioni climatiche e ambientali estreme (tropicalizzazione), la presenza di uno stabilizzatore (dispositivo elettronico che controbilancia micromovimenti in fase di scatto) o di un basculaggio, la cui funzione vi ho descritto poco sopra.
C’è senz’altro di che sbizzarrirsi, e perdersi, nella scelta di un obiettivo. Il mio consiglio è di farla ponderandola sulla base di vostri effettivi bisogni, magari cercando opinioni e consigli nei vari siti dedicati proprio alla valutazione dei vari modelli presenti sul mercato. Tenete presente che se un obiettivo alla fine lo usate poco o per niente, potrete sempre rivenderlo.