Quando la classe, per una volta, è acqua. Ci vuole un leggero ritocco a questo detto popolare per parlare di quanto capitato di recente ad Adelboden, nel Canton Berna, dove un gruppo di sportivi di alto rango ha deciso di acquistare la locale società di acque minerali. E lo ha fatto anche per sottrarla ai possibili appetiti di acquirenti stranieri, cinesi in particolare. A decidere di investire in quella sorgente è sceso in campo un quintetto di tutto rispetto, così composto: Roman Josi, giocatore di disco su ghiaccio della nazionale svizzera; Yann Sommer, portiere anche lui della nazionale, ma di calcio; Christian Stücki, uno dei «König», ovvero dei re, nella lotta svizzera; Severin Stücki, a lungo allenatore di Roger Federer e infine Mark Streit, uno dei massimi talenti dell’hockey svizzero, oggi in «pensione». Roman Josi si muove praticamente in casa, visto che è nato e cresciuto proprio ad Adelboden. «Il tema dell’acqua – ha dichiarato Josi a diversi media svizzero-tedeschi – è molto sentito anche da noi sportivi, per questo è stato facile trovare l’appoggio di altri miei colleghi. Possiamo dire che l’acqua ci ha spinto a unire le forze».
Scoperta quasi seicento anni fa, la sorgente di Adelboden rimarrà dunque in mani svizzere, dopo essere stata nel recente passato in possesso anche di società olandesi e poi tedesche. Ma lo spauracchio – come detto – è soprattutto quello cinese, e non solo nell’Oberland bernese. L’ombra lunga di Pechino si sta facendo sentire anche in Vallese, dove di recente si era ipotizzato l’interesse di investitori cinesi per una sorgente nel comune di Turtmann, che si trova a pochi chilometri da Visp. Si tratta di una delle più grandi sorgenti del nostro Paese, oggi non utilizzata. Una cessione al momento pare scongiurata ma l’argomento delle sorgenti, e di chi le controlla, ha avuto un’eco anche nel corso della sessione estiva delle Camere federali a Berna, che si è conclusa venerdì scorso. Il deputato UDC del Canton San Gallo Mike Egger ha ringraziato in aula i campioni dello sport svizzero, nuovi proprietari dell’«Adelbodner Mineralwasser», per aver saputo respingere la minaccia di acquirenti stranieri, pronti ad impossessarsi del nostro «oro blu».
Il caso di Adelbolden è stato citato durante il dibattito al Consiglio nazionale sulla revisione della cosiddetta Lex Koller. Una riforma pensata per mantenere in mani svizzere altri tipi di impianti che hanno anche loro a che fare con l’acqua, in particolare le dighe e le centrali idroelettriche. Negli anni Ottanta del secolo scorso, la Lex Koller – dal nome dell’allora consigliere federale Arnold Koller – fu varata proprio a questo scopo, per frenare la vendita a cittadini stranieri di proprietà immobiliari svizzere. Ora il Consiglio nazionale ha dato il via libera ad una proposta della socialista zurighese Jacqueline Badran che chiede di estendere questa norma anche alle infrastrutture strategiche in campo energetico – elettricità, gas ed energia nucleare – considerate «di importanza vitale per la sicurezza di un approvvigionamento indipendente», come si legge nell’iniziativa parlamentare della stessa deputata zurighese, inoltrata ben sei anni fa. Per questi impianti, così è stato deciso, dovranno valere le stesse disposizioni della Lex Koller. In altri termini anche per l’acquisto di questo tipo di infrastrutture sarà necessario ottenere un’autorizzazione specifica da parte delle autorità cantonali.
Certo, una diga non è un appartamento, ed è arduo immaginare che quanto prevede oggi la legge possa essere applicato alla lettera anche per un bacino idroelettrico. La normativa in materia, per esempio, permette a una persona straniera di acquistare un immobile in Svizzera se vi è la garanzia che quell’abitazione sarà occupata frequentemente dal proprietario e dalla sua famiglia. E se diventerà il centro delle loro relazioni sociali durante i loro soggiorni nel nostro Paese.
Difficile che una centrale nucleare possa arrivare a tanto, ma il concetto all’origine della Lex Koller è applicabile anche alle infrastrutture energetiche, così almeno ritiene la maggioranza del Consiglio nazionale che ha di fatto introdotto un divieto quasi assoluto d’acquisto in questo ambito da parte di investitori stranieri. Il controllo di questo settore deve rimanere in mani svizzere e questo tipo di vendita «dovrebbe essere per principio escluso», come dice la stessa iniziativa parlamentare. Una decisione che è stata presa grazie a quella che viene definita «un’alleanza contro natura», tra socialisti e verdi da una parte e l’Unione Democratica di Centro dall’altra. A nulla è valsa la contrarietà dei partiti borghesi e del Consiglio federale, capitanato su questo tema dalla nuova ministra di giustizia e polizia, la socialista Elisabeth Baume-Schneider, che ha così dovuto fare i conti con il «fuoco amico» del suo partito. Succede prima o poi a tutti i ministri, anche a chi si trova ancora in una fase di rodaggio, visto che la ministra giurassiana è in carica da soli sei mesi.
Adesso tocca al Consiglio degli Stati affrontare questa riforma, e qui sarà interessante capire come si muoveranno i senatori. Alla Camera dei Cantoni la maggioranza è in mano al Partito Liberale Radicale e al Centro, 26 i loro senatori e 46 i membri di questo ramo del Parlamento. La domanda è sostanzialmente una sola: questi senatori seguiranno i loro partiti, e quindi bocceranno la nuova Lex Koller? Oppure terranno conto dei loro Cantoni di origine, che hanno tutti grande interesse a mantenere in mano locale la proprietà delle infrastrutture energetiche? La contrarietà di questi due partiti, al Consiglio nazionale, è dettata dal fatto che la riforma così come impostata rappresenta una sorta di scorciatoia. Per renderla davvero efficace occorrerebbe modificare una lista piuttosto corposa di altre leggi e annullare anche gli accordi di libero scambio che la Svizzera ha sottoscritto con un buon numero di altri Paesi, tra cui proprio la Cina. Accordi che ad oggi impediscono un divieto alla vendita a investitori stranieri, come quello previsto dalla riforma in questione.
Sullo sfondo di tutto questo dibattito si staglia l’ombra della presenza cinese nei centri del potere economico elvetico. Basti dire che circa cento imprese svizzere sono già oggi di proprietà cinese, tra loro, per esempio, anche diversi colossi, come la multinazionale Syngenta attiva nell’agro-chimica, o Gategroup, uno dei leader mondiali nel settore del catering a bordo di aeroplani. A causa della pandemia la corsa alla Svizzera da parte di Pechino è un po’ rallentata ma non bisogna dimenticare un fatto: la Cina si muove attraverso società controllate direttamente dal proprio Governo. In gioco non ci sono soltanto, si fa per dire, interessi economici ma pure questioni politiche e strategiche. Dinamiche che Adelboden non conoscerà, visto che la sorgente rimarrà in mani rossocrociate. Facile immaginare che qualcuno avrà brindato a questo investimento, con altre bevande, non certo con l’acqua!