Nel lontano 2007 avevo parlato di vegetarianesimo e veganesimo, precisando quello che io pensavo in proposito: 1. rispetto assoluto per chi fa questa scelta etica; 2. chiedo però rispetto ai veg (quando scrivo veg alludo e ai vegetariani e ai vegani, ricordo che i vegani non mangiano né carni né derivati animali come latte, formaggi e simili, mentre i vegetariani, i derivati animali, li mangiano) per il mio essere onnivoro: nessuno è «superiore» agli altri che fanno scelte diverse dalle tue ma assolutamente legali; 3. grande condivisione nella lotta per migliorate la qualità della vita degli animali, anche se capisco che i veg, ma soprattutto i vegani, lottino comunque contro l’allevamento animale. Si può lottare insieme, i veg per motivi etici, io anche per motivi etici seppur diversi, ché maltrattare qualsiasi animale non si fa.
Oggi vi parlo di un altro problema, per nulla piccolo: cosa deve fare una persona di fronte a questo fenomeno, peraltro in forte ascesa – anche se statistiche certe latitano – se invita a cena un gruppo di amici? Certo, la prima cosa è controllare se nel gruppo ci sono veg, ma poi?
Il problema è dei privati ma è ancora più forte nei ristoranti. Fare nulla, come fanno molti ristoranti, è sbagliato: soprattutto oggi, più che mai non devi perdere nessun cliente. Se in un gruppo di quattro o sei persone c’è un veg, c’è il rischio che quel gruppo non opti più per il tal ristorante.
In verità, la soluzione è semplice: basterebbe agire come i ristoranti di pesce, che hanno giustamente sempre in carta qualche piatto di carne per chi accompagna amici pesciofili, senza condividere la stessa passione.
È dunque necessario proporre piatti veg e di fatto non è così difficile da fare: la nostra tradizione, italiana, svizzera, europea, è ricchissima di piatti senza carni e affini.
Penso a quelli a base di legumi, che piacciono a tutti. Penso ai tantissimi carboidrati, riso, paste e altri, conditi con oli e verdure cotte. Basta metterli in una pagina della carta della lista delle vivande, ben evidenziandoli come privi di carne e affini, e il gioco è fatto. Anche se c’è sempre qualche rischio.
Spero che non capiti a nessun professionista quello che è successo a un’amica cuoca – che cucinava anche piatti veg – quando si è vista arrivare in cucina una cliente vegana a controllare che casseruole, taglieri e coltelli che usava non fossero stati «contaminati» da carne: per fortuna, in genere, gli estremisti evitano di frequentare ristoranti per onnivori.
Per un privato il problema è lo stesso: sapendo che tra gli ospiti c’è un veg, deve fare piatti che piacciono sia ai veg che a tutti gli altri. Quindi non certo piatti con tofu, seitan e tempeh, che sono un simbolo del mondo veg ma che non tutti sanno cuocere al meglio, e che soprattutto agli onnivori non piacciono – sbagliando dato che se un piatto è buono lo è a prescindere.
Sarà infatti sufficiente fare piatti ultra-tradizionali che sono veg al di là delle intenzioni, tipo quelli citati prima. Quanti sono? Sopra ho scritto «tantissimi».
Una volta in treno mi sono messo a leggere, sul mio computer portatile, i titoli delle ricette citati in un mio vecchio libro, scritto quando non si parlava ancora del fenomeno veg. Orbene, più dei due terzi dei piatti erano adatti ai vegetariani e anche ai vegani: anche se alcuni con piccoli accorgimenti, tipo usare olio al posto del burro, eliminare la molto presente pancetta e i formaggi. Insomma, avevo scritto un libro che era, sia pur inconsapevolmente, vegano!