Anche Varese ha il suo lago. Non è il lago saldato alla città come lo sono quelli di Lugano, Locarno o Como. Bisogna andarlo a cercare. Oltre la periferia. È remoto, come la storia che narra la sua minuscola isola, l’Isolino Virginia.
Una storia di palafitte, abitate dalle popolazioni prealpine dal 5300 al 900 a.C.: un insediamento preistorico di straordinaria importanza per la sua stratificazione. È addirittura il più antico dei 111 che fanno parte del sito palafitticolo seriale transnazionale (tra Francia, Italia, Svizzera, Germania, Austria e Slovenia) iscritto nella lista del Patrimonio Unesco dal 2011.
L’isolotto dalla memoria preistorica è una scheggia di bosco di appena novemila metri quadrati (quanto un campo di calcio), distante poco più di un centinaio di metri dalla terraferma del comune di Biandronno. Il pontile d’imbarco – per compiere il tuffo di 7000 anni, tra Neolitico ed Età del Bronzo – lo si trova seguendo le indicazioni per la frequentata pista ciclopedonale (progetto Interreg italo-svizzero) che corre per 28 chilometri tutt’intorno al lago.
Dal battellino che traghetta i visitatori (il sabato e la domenica), si fatica a individuare le boe che delimitano il campo delle ricerche archeologiche, sporadicamente ancora in corso. Canneti e vegetazione acquatica invasiva circondano così fittamente l’isola da farne quasi una penisola.
Sulla minuscola oasi naturalistica, ombreggiata da alberi secolari e popolata da starnazzanti animali da cortile, sbarcano perlopiù famiglie con cestino da picnic e comitive ansiose di gustare i piatti cucinati dallo chef del ristorante «La tana» il cui gestore è anche l’unico residente e custode dell’isolino.
Nel pratone centrale, al riparo dal campo di battaglia tra bambini armati di bastoni e galletti bellicosi, una piccola aula didattica soprelevata (a forma di palafitta) permette di localizzare le zone di rinvenimento dei reperti.
I primi campi di pali furono scoperti nel 1863 da un team pluridisciplinare e internazionale di studiosi, formato dall’abate lecchese Antonio Stoppani, geologo e paleontologo, dal naturalista svizzero Édouard Desor e dall’archeologo francese Gabriel de Mortillet.
Appena una decina d’anni prima, pochi chilometri a nord, altre ricerche paleontologiche avevano portato alla luce reperti appartenenti a più antiche acque: un tuffo di 24 milioni di anni nella laguna fossilizzata del Monte San Giorgio. Erano stati scoperti i fossili del Triassico, oggi pure loro patrimonio dell’Unesco.
All’Isolino Virginia, a intermittenza, per 160 anni, si sono susseguite le campagne di ricerca archeologica preistorica, che hanno quindi permesso di tracciare una vasta mappa palafitticola estesa in un territorio compreso tra il lago di Varese e i vicini piccoli bacini di Comabbio e di Monate.
Le monumentali strutture lignee neolitiche si sono conservate grazie a uno straordinario strato di protezione formato dall’acqua del lago, dai sedimenti e dalla vegetazione che vi si è sovrapposta nel corso dei millenni.
Un ambiente umido che anche sulla terraferma ha permesso la conservazione di legni, semi, carboni, gusci di nocciole, resti di fibre vegetali, ossa di animali. Preziosi reperti capaci di raccontare le abitudini quotidiane di quegli agricoltori preistorici che abitarono ininterrottamente l’isola, in successivi insediamenti spostati dai movimenti delle acque, dal Neolitico antico all’Età del bronzo, per oltre 4mila anni.
La ricostruzione dell’interno di un’abitazione del Neolitico medio (4500-3900 a.C.) la si trova in un piccolo stabile nascosto tra la lussureggiante vegetazione dell’isolotto: il Museo Andrea Ponti, distaccamento del Museo Civico Archeologico di Varese.
Su una lapide di marmo bianco sulla facciata del piccolo Museo si legge: «Questa vaga isoletta fida custode delle parlanti reliquie dei primitivi popoli lacustri la Società italiana di scienze naturali qui convenuti il 26 settembre 1878 all’ospite gentile acclamando nomava Isola Virginia».
L’ospite gentile da cui prese l’attuale nome l’isolino (precedentemente Isola Camilla e ancor prima di San Biagio) era la moglie del marchese Andrea Ponti, industriale tessile varesino, che all’indomani della scoperta dell’insediamento preistorico aveva acquistato i possedimenti lacuali dalla famiglia dei duchi Litta Visconti Arese, che a loro volta erano succeduti nella proprietà ai conti Besozzi.
La famiglia Ponti sostenne per quasi un secolo le campagne di ricerca archeologica. Dapprima Andrea finanziò dal 1875 una serie di scavi affidati a un gruppo di studiosi internazionali. Poi il figlio Ettore promosse la catalogazione dei reperti e già nel 1886 fece allestire un primo nucleo espositivo all’interno della residenza isolana di famiglia. La terza generazione di Ponti cedette dapprima il contenuto del museo al Comune di Varese nel 1923, favorì una nuova campagna di scavi nel 1950, ospitò un prestigioso Convegno internazionale di paleontologia nel 1954, e infine donò l’Isolino Virginia alla collettività varesina nel 1962.
Le ricerche sono quindi proseguite sotto la direzione dei Musei Civici di Varese fino agli scavi più recenti di inizio millennio (2005-2012 e 2020-2021), che hanno permesso di confermare la straordinarietà del sito, un unico giacimento archeologico che si estende dal centro dell’isola ben oltre le rive, in aree attualmente sommerse: una piccola Pompei preistorica.
In particolare, lo scavo del 2012 nella zona centrale dell’isolino ha rilevato una profondità degli strati che documenta una presenza umana ininterrotta dal Neolitico antico (5300 a.C.) al Bronzo finale (900 a.C.), testimonianza unica per i siti palafitticoli dell’arco alpino.
Materiali individuati e analizzati grazie alle più moderne tecnologie hanno fornito le informazioni utili alla ricostruzione della vita quotidiana dei contadini preistorici insediati nella zona dei laghi varesini: l’attività di tessitura, ad esempio, documentata da frammenti di fusaiole e da porzioni di pesi da telaio, o ancora macine per la produzione di farine di farro e orzo, fondi di vasi in ceramica, galleggianti e pesi da rete, ami in osso e bronzo, vertebre di luccio.
Le ultime indagini si sono concluse nel 2021, quando gli specialisti subacquei hanno determinato l’esatta estensione del giacimento archeologico sommerso, che è stato quindi delimitato e tutelato con la posa di un campo di boe.