Il Consiglio federale davanti al lago di Murten/Morat a fine giugno. Da sinistra: Walter Thurnherr (il cancelliere), Elisabeth Baume-Schneider, Karin Keller-Sutter, Guy Parmelin, Alain Berset, Viola Amherd, Ignazio Cassis e Albert Rösti. (Keystone)

La «formula magica» ha un futuro?

by Claudia

Iniziamo da dove aveva terminato Ueli Maurer, lasciando il Governo l’anno scorso. Nel suo intervento di commiato davanti al Parlamento l’ex ministro UDC esordì citando alcune cifre: «Questo è un giorno importante per il nostro Paese perché nei 174 anni di vita della Svizzera moderna oggi verranno eletti il consiglieri federali numero 120 e numero 121», in altri termini Maurer aveva voluto sottolineare la stabilità del sistema politico svizzero e il suo «Sonderfall». Nessun’altra democrazia al mondo ha probabilmente avuto un numero di ministri così contenuto in questi 175 anni di storia. Ed è un po’ quello che scrive anche Hans-Peter Kriesi nel suo volume Il sistema politico svizzero. A proposito del Consiglio federale, il politologo turgoviese sottolinea che nel nostro Paese non si procede mai a un suo completo rinnovo, visto che di regola i ministri vengono sostituiti individualmente. «Senza esagerare – sottolinea poi Kriesi – possiamo dunque dire che esiste una continuità totale dal primo Consiglio federale, eletto nel 1848, fino ai giorni nostri. Questa grande stabilità aiuta a rafforzare il ruolo del nostro Governo». E qui arriviamo appunto al concetto di «stabilità» di cui occorre sempre tener conto quando si aprono le danze per la sostituzione di un consigliere federale, come sta capitando in queste settimane per la successione di Alain Berset.
A garantire questa stabilità governativa dal 1959 c’è persino una formula non per nulla definita «magica». Fu ideata da Martin Rosenberg, un ex giornalista argoviese che in quegli anni lavorava come segretario generale del partito che oggi chiamiamo il Centro. Una formula che si basava su uno schema, con la squadra dell’Esecutivo federale schierata in questo modo: 2 – 2 – 2 – 1. Ai tre principali – PLR, Socialisti e Cristiano-Democratici – vennero assegnati due seggi in Governo e al quarto, l’UDC, uno, in questo modo veniva a crearsi una sorta di «grande coalizione» con l’obiettivo di integrare il più possibile le forze di opposizione e di accrescere il consenso attorno all’operato del Consiglio federale. Nel 1959 tornò stabilmente in Governo il Partito Socialista, allora la prima forza politica del Paese con il 26% delle preferenze, e questo proprio con l’intento di ridurre il suo ruolo di forza d’opposizione, sempre pronta a lanciare referendum o iniziative popolari. Questa prima versione della formula magica ha saputo reggere fino al 2003. A partire da quell’anno ci sono state un paio di forti turbolenze e alcune varianti rispetto alla formula iniziale. Dapprima vi fu l’entrata in Governo di Christoph Blocher che portò a due i ministri UDC, ormai primo partito svizzero, estromettendo Ruth Metzler dell’allora PDC. I democratico-cristiani si ritrovarono così con un solo ministro.
Nessun’altra democraziaal mondo ha probabilmente avuto un numero di ministri così contenuto in questi 175 anni di storia
Quattro anni più tardi però lo stesso Blocher dovette fare i conti con uno sgambetto del Centro-sinistra che a sorpresa non gli rinnovò il mandato. Al suo posto fu eletta la grigionese Eveline Widmer Schlumpf che proprio per questo venne espulsa dal suo partito di allora, l’UDC, e che aderì al neo-nato Partito Borghese Democratico. Così fece anche l’altro ministro UDC Samuel Schmid, dopo essere stato dichiarato «clinicamente morto» dal suo partito per aver accettato la clamorosa bocciatura di Christoph Blocher. Per pochi mesi i democentristi si ritrovarono senza ministri e quindi schierati del tutto all’opposizione. Si trattò di una fase molto breve visto che l’UDC tornò in Governo già all’inizio del 2009, con Ueli Maurer, dopo che lo stesso Schmid si era dovuto ritirare per ragioni di salute. Eveline Widmer Schlumpf restò nell’Esecutivo federale fino al 2015, con una «formula magica» che numericamente non corrispondeva più a quella iniziale, lo schema passò infatti ad un 2 – 2 – 1 – 1 – 1. In Governo non c’erano più quattro partiti ma ben cinque, mai era successo prima nella storia moderna del nostro Paese. E con due ulteriori anomalie. La prima riguardava l’UDC, che pur essendo il primo partito svizzero aveva un solo consigliere federale. La seconda singolarità chiamava in causa invece proprio il PBD, che poteva contare su un seggio in Governo nonostante fosse di fatto presente solo in tre Cantoni – Berna, Grigioni e Glarona – e malgrado una forza politica che non andò mai al di là del 5% su scala nazionale.
Nel 2016 l’entrata in Governo di Guy Parmelin ridiede all’UDC il suo secondo seggio e permise alla «formula magica» di ritrovare il suo schema numerico iniziale, con due seggi in Consiglio federale ai primi tre partiti e uno al quarto. Si tratta di una versione rivista e corretta rispetto alla formula iniziale del 1959, visto che l’UDC è riuscita a raddoppiare la sua presenza in Governo e che il Centro si ritrova ormai stabilmente con un solo seggio. Resiste comunque lo schema iniziale del 1959: 2 – 2 – 2 – 1. Tutto a posto dunque? Non proprio. La «formula magica versione 2.0» subisce inevitabilmente il logorio del tempo, basti dire che 25 anni fa i partiti che la componevano rappresentavano oltre l’83% dei cittadini. Oggi questa percentuale è scesa al 70%. Non per nulla soprattutto i Verdi, ma anche i Verdi Liberali mirano da tempo a un seggio in Governo, per accrescere la loro capacità di incidere sul corso della politica svizzera ma anche per aumentare la legittimità dell’Esecutivo agli occhi dei cittadini. E la successione di Alain Berset riapre i giochi pure da questo punto di vista, anche se dapprima, il 22 ottobre, tutti i partiti dovranno affrontare la sfida delle elezioni federali. Le urne diranno se le ambizioni ecologiste potranno essere concretizzate o se si tratta, una volta di più, di semplici velleità, visto che i sondaggi danno per il momento i Verdi in perdita di velocità rispetto a quattro anni fa.
Bisognerà capire come andranno le cose anche per gli altri partiti, in particolare tra i Liberali-radicali, dato che il loro secondo seggio in Governo è da tempo rimesso in discussione. Sul tema della composizione del Governo una cosa è certa: i partiti non hanno fatto i loro compiti. Quattro anni fa, confrontati con la crescita elettorale dei Verdi, si erano detti che occorreva organizzare una sorta di vertice nazionale per discutere del futuro della «formula magica». Quell’incontro che non c’è mai stato. Affrontare ora un tema così delicato appare senza dubbio un azzardo, visto che ci troviamo in un contesto di tripla corsa elettorale: quella per le federali di ottobre, quella per il rinnovo del Governo in dicembre e infine quella per la sostituzione di Alain Berset. Una triplice sfida in cui ad oggi una sola cosa è certa: in dicembre la Svizzera avrà il suo 122 ministro o ministra. Ma questo forse non basterà per continuare ad andare fieri del «Sonderfall» elvetico, come ha fatto Ueli Maurer l’anno scorso. Prima o poi bisognerà anche poter a metter mano al grande cantiere della formula governativa. Per riuscire a capire quale ricetta sia in grado di garantire al meglio la stabilità del nostro Governo. E magari per giungere alla conclusione che in fondo va bene così.

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