Sono tornati a casa Sofia, Leopoldo e Batuffola. Sofia Benagli, malcantonese, ha 25 anni e un giorno di maggio s’è decisa: intraprendere un viaggio straordinario. Partire in un trekking di due mesi e mezzo con i suoi due asini. Itinerario: da Kleindöttingen, vicino a Koblenz, canton Argovia, il punto in cui l’Aare sfocia nel Reno, quindi in cammino lungo l’intero fiume, il lago di Bienne, poi in direzione dei passi di Grimsel e Nufenen, e rientro in Ticino. Una sfida lunga oltre 400 chilometri. Una sfida… quasi vinta.
L’inedito quanto instancabile team ha macinato ben oltre i tre quarti del percorso, tra avventura, imprevisti, forza, resilienza «e l’accoglienza sorprendente delle tante persone incontrate, chè talora senza il loro aiuto…».
È andata bene ma non benissimo, giusto?
Esatto: per finire siamo tornati a casa il 23 giugno. Siamo rimasti in giro per 47 giorni, 36 dei quali abbiamo camminato e abbiamo percorso un totale di 387 km. I piani sono cambiati un po’, da Meiringen, al posto di prendere per il Grimsel, abbiamo percorso il Brünig, e da lì abbiamo camminato fino a Wassen (in realtà un pezzo tra Jakob e Seedorf lo abbiamo fatto con il trasporto data l’impossibilità di scendere a piedi dal Seelisberg) e da Wassen siamo tornati a casa con il trasporto. Questo cambiamento di programma è stato dovuto alla neve ancora presente sui sentieri del Grimsel, alla mia stanchezza e al caldo che è cominciato ad arrivare.
Si sente che sei entusiasta.
Sì, il bilancio è stato positivo fino a un certo punto; dopo le difficoltà delle prime due settimane le cose erano cominciate a funzionare molto meglio. Abbiamo aumentato gradualmente il numero di chilometri percorsi, fino a 14, 18 al giorno. Gli asini man mano che avanzavamo camminavano meglio, abituandosi alla situazione. Durante la seconda settimana a Leopoldo ho dovuto mettere dei ferri, visto che molto del nostro cammino è avvenuto sull’asfalto, per «Batu» ho usato invece delle scarpette.
Perché partire con due asini?
Io con gli asini ci sono nata e cresciuta; i miei genitori li hanno sempre avuti e c’era sempre in me il desiderio di fare una vacanza con loro due, caricarli e partire. Alcuni anni fa ho scoperto che una ragazza germanica ha realizzato un trekking assieme al suo asino col basto, da Monaco a Venezia. Ho letto il suo libro, ho seguito il suo blog e una sua conferenza poi mi sono detta, «se lo ha fatto lei possiamo farlo anche noi»: finiti i miei studi di veterinaria ho capito che era giunto il momento, ed eccoci qui.
Ma non tutto nasce dal nulla
Da dicembre fino al giorno della partenza – assicura Sofia– ho iniziato ad allenare gli asini con uscite in Malcantone e fino al Monte Lema che è stato da sempre uno dei miei sogni, perché un trekking così non si può realizzare da un giorno all’altro, c’è voluto molto allenamento. Loro non erano abituati a portare il basto né a reggere pesi, né a camminare per lunghe distanze. Neppure a camminare l’uno dietro l’altro. Non è stato affatto semplice portarli entrambi, insieme, ho dovuto escogitare soluzioni. «Poldo» ha 7 anni, mentre la Batuffola 19, che significa più esperienza.
Qual è la psicologia e la dinamica che si sono instaurate tra voi tre durante il percorso?
Adesso conosco i miei due asini e so quando una situazione può essere difficile ed è dunque meglio fare andare avanti l’uno o l’altra. La Batuffola generalmente procedeva per prima, io subito dopo e Leopoldo dietro. Questa è stata la nostra formazione. Se cambiavo l’ordine e «Batu» la mettevo dietro, lei non camminava e lo manifestava chiaramente, vedendo la fatica davanti agli occhi si arrestava, mentre davanti è bella motivata.
La giornata tipo?
Abbiamo sfruttato le ore del mattino per metterci in marcia. Leopoldo iniziava a ragliare alle 6, quindi il richiamo era eloquente e capivo che bisognava partire. Ma a me servivano almeno due, tre ore per chiudere la tenda e per riorganizzare da capo il basto, con tutto il carico. Camminavamo in media dalle 9 alle 15.30, con brevi pause. Ci concedevamo un’interruzione più lunga se veniva a trovarci qualcuno per condividere una tappa: si sono uniti per alcuni tratti mia mamma, mio zio e un paio di amici.
Trovare un alloggio con due quadrupedi al seguito non dev’essere stato semplice.
La soluzione l’ho sempre cercata sul posto, mai prima. Verso le 15, dopo sei ore di cammino, iniziavo a guardarmi intorno, alla ricerca preferibilmente di una fattoria, una stalla con cavalli, a volte da privati, chiedevo alle persone del posto. Abbiamo trovato molta solidarietà, persone gentili, disponibili ad aiutare: abbiamo ricevuto soldi, cibo, alloggi quasi tutti gratuiti, fieno per gli asini, mi hanno fatto il bucato per i vestiti. Perfino un telefono in prestito quando la seconda settimana ho rotto il mio. La gente si è fidata di me e ci ha aperto con gentilezza la porta di casa.
Giorni difficili ce ne sono stati?
Sì, assolutamente, parecchi. Viaggiare con degli animali non è semplice. I momenti più complicati fino ad oggi sono stati quando Poldo aveva le suole degli zoccoli molto consumate e abbiamo dovuto mettere i ferri. L’altro momento difficile è stato quando da Beatenberg dovevamo scendere di nuovo a valle. La strada era molto trafficata, con sentieri ripidi, stretti e scivolosi. Altri episodi ardui, i passaggi in galleria, sotto ponti bassi, scivolate sul sentiero. Trovare una strada adeguata per loro non è sempre evidente.
Quali insegnamenti ha dispensato questo viaggio?
Ho imparato che bisogna essere pazienti, non farsi stressare troppo, perché gli animali lo sentono ed è peggio. Il primo giorno che hanno visto il fiume Aare non volevano avvicinarsi, ci sono voluti 45 minuti per fargli percorrere 20 metri. Sono tornata indietro, pensando «che idea assurda camminare vicino a un fiume quando a casa non ne hanno mai visto uno, non ce la faremo mai. Chi me lo ha fatto fare?». Eppure da quel giorno il fiume non è più stato un problema, avevano solo bisogno di tempo. E poi ho imparato che bisogna godersi un giorno alla volta senza fissarsi dei programmi.
Qual è stata invece la parte più appagante e commuovente del viaggio?
A livello paesaggistico è tutto molto bello, nel cuore della Svizzera. Noi siamo spesso soliti cercare mete lontane, ma alla fine non conosciamo il nostro paese. Costeggiare il lago di Thun mi è piaciuto particolarmente.
E le avversità della meteo?
La prima settimana abbiamo avuto un po’ di pioggia, ma siamo riusciti a schivarci molti temporali, metterci al riparo in stalla. Poi invece abbiamo avuto quasi sempre soleggiato.
Evadere con la mente, la lentezza del cammino, gli orizzonti del territorio, quali sensazioni ha prodotto il trekking?
Mi è capitato spesso in queste settimane di capire quanto la nostra vita sia frenetica e di apprezzare il fascino della lentezza. La condivisione di momenti con persone che poco prima non conoscevo, oltre al forte legame che si è instaurato tra me e gli asini, è uno degli aspetti più belli di questo viaggio. Gli obiettivi dell’esperienza? Sono partita con l’obiettivo di godermi la natura e gli asini. Mi sono però presto resa conto, durante il viaggio, che molta gente non conosce come ci si deve approcciare a un animale. Ad esempio ciclisti e corridori che sfrecciano dietro di noi pensando che gli asini abbiano gli occhi anche dietro. Per questo ora ho un obiettivo in più: sensibilizzare le persone e far conoscere l’asino come animale a bambini e adulti.