Il duro e appassionante rugby in carrozzella

by Claudia

Altri campioni - Incontro con il ticinese Lorenzo Parisi, giovane medico attivo a Berna e appassionato sportivo

Dall’interno arrivano suoni metallici. Il nostro appuntamento è nella palestra Rossfeld a Berna (Centro di competenza per persone con disabilità fisiche). È qui che una volta a settimana si svolge l’allenamento di rugby in carrozzella del Club di Berna. Ad accogliermi è il ticinese Lorenzo Parisi, giovane medico all’ospedale di Berna, che ci racconta questo sport e la sua storia.
«Dopo l’incidente che mi ha reso tetraplegico – racconta Lorenzo – sono stato per un lungo periodo nella clinica riabilitativa a Nottwil, dove, soprattutto nella seconda parte della mia degenza, ho avuto la possibilità di provare parecchi sport; tra questi anche il rugby in carrozzella. È lì che ho conosciuto l’allenatore della squadra di Berna e, visto che questo sport mi piaceva, ho deciso di iniziare a praticarlo regolarmente».
Lorenzo al termine della riabilitazione nel Canton Lucerna rientra a Berna per terminare gli studi in medicina e iniziare poi a lavorare come medico presso l’ospedale universitario. Gli impegni sono molti e il tempo per lo sport è poco. «È vero – aggiunge Lorenzo – nella mia professione le ore lavorative sono tante, ma ho sempre cercato e cerco sempre tuttora di ritagliare del tempo anche per la pratica sportiva, perché la considero molto importante sia per la parte fisica sia per gli scambi a livello sociale».
Rugby in carrozzella. Il giovane medico ci spiega di che cosa si tratta: «La prima volta che ne ho sentito parlare pensavo si giocasse su un campo erboso. Nulla di tutto ciò. Questo sport lo si gioca in palestra; è molto simile alla pallamano, ma praticato in carrozzella». L’obiettivo di ciascuna squadra è di far passare la palla dietro la linea di fondo del campo avversario entro quaranta secondi dall’inizio dell’azione. Una partita si disputa in quattro tempi da otto minuti di gioco effettivo ciascuno. Sono previsti due intervalli da due minuti alla fine del primo e del terzo quarto e uno da cinque minuti alla fine del secondo quarto. Il cronometro viene stoppato a ogni interruzione di gioco. Ogni squadra si compone di quattro giocatori.
«La caratteristica di questo gioco – specifica Lorenzo – è che per poterci giocare occorre avere una disabilità in almeno tre arti. Ogni disabilità corrisponde a un punteggio. Più la disabilità è compromettente, più il punteggio assegnato al rispettivo giocatore è basso. Il punteggio di ciascuna squadra può arrivare al massimo fino a quattro».
Osservando il gioco, si capisce come la tattica sia subordinata al grado di disabilità. I giocatori che hanno più funzioni motorie sono coloro i quali portano la palla e giocano in modo offensivo, coloro i quali hanno meno funzioni, si posizionano invece nella difesa. «Anche le sedie sono diverse a dipendenza del grado di disabilità – aggiunge Parisi. Più la lesione è alta quindi, più la stabilità del tronco è compromessa, tanto più la sedia sarà a seduta bassa per mantenere un baricentro basso. Al contrario, i giocatori che hanno maggiore stabilità del tronco utilizzano delle sedie con il baricentro più alto».
Si accennava all’inizio dell’articolo a quei rumori metallici. Ebbene, questo è il risultato degli scontri fra i giocatori. I contatti sono molto frequenti, e sono parte integrante del gioco, esattamente come nel rugby per persone normodotate. La differenza è che nel rugby in carrozzella non c’è alcun contatto fisico. Le sedie hanno una struttura metallica solida e a dipendenza del ruolo assunto, offensivo o difensivo, sono diverse tra loro. Le sedie per la difesa presentano infatti una sorta di ganci per fermare e placare l’avversario, quelle offensive invece nella parte anteriore hanno delle placche di metallo per essere più incisivi negli scontri contro gli avversari. Tutti i giocatori sono legati alle carrozzelle con delle cinture alle gambe e al tronco per garantire da una parte la stabilità del torace, e dall’altra per essere più efficienti nei movimenti. Infine, i giocatori indossano dei guanti per riuscire a spingere meglio le ruote, le quali sono ricoperte da un cerchio metallico per evitare che le dita entrino tra i raggi.
L’allenamento sta per terminare. È il momento del ritorno alla calma. Ne approfittiamo per continuare la nostra chiacchierata con il giovane medico. «Come tetraplegico non è facile trovare uno sport da praticare e questo soprattutto per due motivi: il primo – spiega Lorenzo – è che una persona tetraplegica non suda e quindi occorre essere molto attenti al controllo della temperatura corporea. Sport quali handbike o ad esempio barca a vela svolti a temperature elevate potrebbero rappresentare un grande pericolo per la nostra salute. Il secondo problema è invece legato ai trasferimenti, che richiedono una pianificazione molto dettagliata per non ritrovarsi in situazioni spiacevoli. In questo senso, avere la possibilità di praticare il rugby nella città in cui vivo è stato sicuramente un grande vantaggio. Oltretutto ciò mi ha fatto entrare in un sistema in cui lo scambio di opinioni con i miei compagni permette di trovare utili soluzioni anche per affrontare sfide quotidiane».
«E infine – conclude Parisi – il rugby, ma lo sport in generale, è sinonimo di prevenzione. Nel nostro caso dobbiamo essere molto attenti a mantenere forte la muscolatura delle spalle, che ci aiuta nei transfer quotidiani, ad esempio dalla carrozzella di tutti i giorni a quella sportiva, dalla carrozzella all’auto eccetera. Ma anche in questo caso occorre trovare la giusta misura per non strafare e generare fastidiose infiammazioni. Il fatto che i nostri allenatori abbiano una formazione sportiva specifica è sicuramente un vantaggio, uno dei tanti, insomma, che mi spinge con entusiasmo a continuare a praticare il mio sport».
Su queste parole, ci congediamo da Parisi. E mentre lui entra nello spogliatoio, noi rubiamo la sua ultima esclamazione: una squadra anche in Ticino? «Sarebbe bello. E utile!»