La Treccani parla chiaro, amico è «chi è legato ad altri da un vincolo di amicizia, cioè da un affetto vivo e reciproco ispirato in genere da affinità di sentimenti e da stima». Eppure, proprio le parole «amicizia» e «amico» sono fra quelle probabilmente più abusate della nostra era, e questo soprattutto dall’avvento dei social media, in cui amico molto spesso fa rima con «semplice conoscente» (magari mai visto in carne e ossa). Al più tardi dalla fine della pandemia, in cui ci è stato richiesto di praticare il «social distancing», da più fronti si è cominciato a parlare di una vera e propria recessione dell’amicizia, diagnosi supportata da una serie di studi statunitensi che hanno evidenziato come rispetto agli Anni 80 (e questo già prima del Covid) i 17-18enni abbiano in media un’ora al giorno in meno di contatto personale e/o fisico.
Poiché la politica in alcuni casi ha riconosciuto i rischi legati all’isolamento sociale, si cerca di correre ai ripari, come ad esempio in Gran Bretagna, dove è stato creato addirittura un «Ministero per la solitudine». Si tratta di misure concrete per evitare l’isolamento, che porta inesorabilmente a un’esclusione della società, e in una certa misura, anche a un fallimento della stessa, se è vero, come hanno dimostrato molti studi in passato, che l’amicizia contribuisce in modo marcato al benessere psicofisico delle persone che hanno la fortuna di conoscerla e di praticarla.
Ma qual è lo stato di salute di questo sentimento nel nostro Paese, come sono i rapporti interpersonali che noi svizzeri (o residenti in Svizzera) coltiviamo nella nostra quotidianità? Come iniziano e come finiscono le amicizie? E cosa si può fare per rafforzarle? Sono queste alcune delle domande che hanno spinto il Percento culturale Migros a commissionare al think tank Gottlieb Duttweiler Institut (GDI, voluto e pensato espressamente dal fondatore della Migros Duttweiler, www.gdi.ch), e più precisamente ai ricercatori Jakub Samochowiec e Johannes C. Bauer, una ricerca approfondita sui legami tra i singoli all’interno di una società sempre più complessa e frammentata come la nostra.
Dopo lo studio sul vicinato (Gentile vicino/a), con tutte le iniziative che sono seguite con il supporto del Percento culturale, sono stati ora dunque resi pubblici i risultati di In buona compagnia. Il grande studio svizzero sull’amicizia. Per prima cosa si è cercato di definire l’amicizia con le parole delle intervistate e degli intervistati, evincendo tre nuclei affettivi preliminari che contraddistinguono i rapporti interpersonali di questo tipo: fiducia e apertura, sostegno e lealtà, appartenenza e reciprocità, cui è – giustamente – seguita una suddivisione tra i vari tipi (e concetti) di amicizia, classificabili in cerchia ristretta, cerchia allargata, e conoscenti.
Ne abbiamo parlato con Jakub Samochowiec, che per prima cosa si sente di affermare come «a un livello generale le persone interpellate si sono dette piuttosto soddisfatte dei propri amici, anche se va sottolineato come immigrate e immigrati lamentino la difficoltà di entrare a fare parte di una cerchia, qui in Svizzera, poiché fare amicizia può risultare alquanto difficile quando si viene da fuori». Come spiega il ricercatore, in Svizzera il sentimento di amicizia è legato molto spesso a un senso reciproco di grande responsabilità e lealtà, da qui la reticenza ad allargare il proprio «campo di azione o interesse».
Fra gli aspetti analizzati da questo studio, vi è anche quello legato all’anagrafe, infatti, sebbene si sia potuto constatare come, mediamente, le persone anziane abbiano meno amici e li frequentino comunque piuttosto di rado, confrontandosi in misura minore su temi di natura emotiva, a sentirsi ancora più sole sono soprattutto le persone tra i 20 e 35 anni, quasi a dimostrazione di come la solitudine costituisca una piaga trasversale e intergenerazionale.
Ma in definitiva, una volta acclarata l’importanza, forse addirittura indispensabilità dell’amicizia, cosa si può fare al fine di incentivarla? Lo studio ci offre anche uno sguardo su una serie di misure atte a promuovere questo rapporto interpersonale. Anzitutto andrebbero ridotte le aspettative in termini di obblighi e occorrerebbe dare maggiore fiducia e tempo ai nuovi contatti. Le occasioni di incontro andrebbero implementate, e in questo possono giungere in soccorso anche le opzioni digitali, che spesso ed erroneamente vengono tacciate di superficialità.
Da non trascurare è anche l’operazione di riattivazione di vecchie amicizie, che può dare esiti particolarmente positivi. Proprio a questo proposito è stato condotto uno studio interventistico nell’ambito della ricerca e i risultati sono sorprendenti: circa l’80% delle persone ritrovatesi dopo molti anni hanno ricominciato a frequentarsi in modo spontaneo, a riprova del fatto che fra i legami più forti vi sono esattamente quelli nati all’inizio del proprio percorso esistenziale (come confermato d’altronde anche da circa la metà degli interpellati).