Uno sbirro così inutile da poterne fare a meno

by Claudia

Antichità rabelaisiane - Antesignano del Poker, il goffo è un antico gioco d’azzardo che un po’ ricorda la scopa dei giorni d’oggi

«Lo scarterei come lo sbirro a goffo». Così, i genovesi riferendosi a persone di poco conto. L’origine di questo modo di dire si rifà certamente allo scarso valore del fante nel gioco del goffo. Secondo le sue regole, infatti, questa carta conta così poco (1 punto, rispetto alla donna, 8, e al re, 9), da prevedere la possibilità di scartarla dal mazzo, eliminando la sua presenza per l’intera partita.
Sono proprio i genovesi a definirsi gli inventori di questo gioco a carte, sebbene un approfondito studio svolto da Franco Pratesi, professore di scienza dei materiali e ricercatore di giochi di Firenze, fa risalire il goffo alla Toscana dei monarchi, quale parente povero della primiera. Mentre i signori dell’epoca cinquecentesca potevano spendere ingenti somme di danaro, il popolo si contentava di una versione più ordinaria (anche detta «variante toscana»): «Tanto che giocare a goffo acquistò il significato di far la figura del semplicione», secondo lo studio del Pratesi, datato 30 ottobre 1988.
Stiamo parlando di un gioco d’azzardo italiano (peraltro imparentato anche con il più giovane poker americano) che fu per molto tempo proibito. Oggi potrebbe essere paragonato alla scopa (basti ricordare il punteggio della primiera che prende origine proprio dal gioco rinascimentale). D’altro canto, è risaputo che qualche anziano di paese punta ancora oggi il cinquantino, nascondendolo sotto il tappeto delle carte, forse memore di quei tempi, o forse perché giocare a soldi resta da noi proibito, al di là della somma scommessa.
Sono davvero poche le persone che sentendo la parola goffo potrebbero pensare al gioco di carte, ormai sconosciuto anche ai giocatori più colti. Noi lo abbiamo scoperto grazie all’elenco del capitolo XXII del divertente romanzo Gargantua e Pantagruel di François Rabelais, la cui prima edizione risale al 1532. Di questa incredibile lista di nomi di giochi ne abbiamo già estratto un altro, e più precisamente il passadieci, (di cui abbiamo parlato su «Azione» del 7 marzo 2022) dando il via a un occasionale spazio voluto come antidoto ludico e materico contro l’era del virtuale, un’alternativa per trascorrere il nostro tempo libero.
Nato in Toscana, si diceva, restò gioco popolarmente in voga fino al Settecento. Di questo periodo in verità «nessuna possibilità (…) esiste di ricostruirne una letteratura specifica». Si sa solo che comparve nella lista del 1753, quale gioco proibito nel Regno di Napoli. Dopodiché «nella successiva diffusione del gioco, una località di elezione è rappresentata da Genova, (…) è lì che il goffo trova una precisa regolamentazione; è da lì che poi si ridiffonde (…) anche in altre città italiane». Secondo la ricerca effettuata da Ivana Ferrando, che firma il saggio I giochi a Genova (1969) in un Regolamento in dialetto di fine Ottocento compare l’affermazione secondo cui: «Anche se il Goffo poteva essere un rovina famiglie, lo troviamo fra i giochi permessi dalla Legge del 1779».
Risale al 1896 anche uno dei manuali che contiene le Regole del gioco di goffo (tip. S. Belforte e C., Livorno) che così presenta il nostro passatempo per i genovesi: «La Spagna inventò l’Ombre che è il re de’ giochi di combinazione, e il Reversis; l’Inghilterra il Whist; la Francia il Pichetto e il Lansquenet; e i Genovesi per sollevarsi chi dalle occupazioni del Governo al quale erano chiamati tutti i benestanti e capaci, e chi dal commercio, dal negozio e dalle speculazioni, di cui furono maestri al mondo, non pure all’Italia, inventavano il gioco che Goffo si chiama. …Di un tal gioco si dilettano le famiglie Genovesi non solo, ma quelle altresì delle due riviere, e di oltre gioghi, amanti quai sono di continuare a godere, almeno nei sollazzi, della libertà che possedevano al tempo dell’invenzione del gioco, e perdettero sulla fine del secolo XVIII».
Ma veniamo finalmente al gioco vero e proprio. Si gioca fino a un massimo di sei o sette partecipanti e per vincere bisogna «fare goffo», vale a dire che vince chi ha in mano tutte le carte di uno stesso seme, o colore. Se nessuno fa goffo, vincerà chi ha totalizzato il punteggio più alto. Quest’ultimo avviene sommando i punti delle carte del medesimo colore (minimo due, massimo quattro). Con il termine punti ci si riferisce al valore nominale delle singole carte, da uno a sette, più il fante (che vale solo uno, se non è stato tolto), e le due figure restanti che contano otto e rispettivamente nove punti. Ovviamente come nel poker (del quale è un progenitore) esistono termini tecnici che hanno che fare con il rilancio, l’andare a monte, e persino il bluff, detto all’epoca «fare campana».