Così vicini, così lontani

by Claudia

A essere sinceri, probabilmente nessuno (a parte gli addetti ai lavori) si è allarmato più di tanto lo scorso 10 agosto, quando le agenzie hanno battuto la notizia di un incidente a Faido, all’interno del tunnel di base del San Gottardo, che con i suoi 57 km di lunghezza e gli oltre 2000 m di profondità massima è annoverato fra i portenti ingegneristici del pianeta. Fortunatamente l’incidente non aveva causato feriti, né si erano sviluppati esplosioni o incendi. Il danno sembrava anche piuttosto contenuto, si prevedeva infatti che i lavori di ripristino sarebbero terminati entro il 16 agosto, dunque, a distanza di nemmeno 150 ore dal fatto.
Con il passare dei giorni però, la situazione è peggiorata, costringendo tutti noi a un involontario e inatteso bilancio di quel progetto faraonico che, per anni, aveva infiammato i titoli dei giornali e i tavoli delle discussioni politico-economiche per i costi esorbitanti e i continui imprevisti in fase di realizzazione. Dal grande momento storico dell’inaugurazione (di cui, forse, ciò che a molti è rimasto soprattutto in mente, è il vestito bianco dell’allora ministra dei trasporti Doris Leuthard con i buchi che ricordavano il tradizionale formaggio Emmentaler) sono ormai passati sette anni, durante i quali uno straordinario gioiello ingegneristico, per chiunque non soffra di claustrofobia, si è trasformato quasi in un’ovvietà. E questo forse, soprattutto per noi ticinesi.
La rottura della ruota di un convoglio tedesco all’interno del tunnel di base (e ora la questione è: chi pagherà il danno? in fondo, la Svizzera, se per la realizzazione della galleria di base si è autofinanziata, per la Ferrovia del Gottardo, alla fine dell’Ottocento, aveva potuto contare sui contributi finanziari di Italia e Germania) ci sta presentando un conto la cui portata, come dicevamo all’inizio, era difficilmente prevedibile. Anzitutto in termini economici: era stato un attimo, per svizzero tedeschi e romandi abituarsi a una tratta così veloce per una gita fuori porta in vetta al Monte Generoso o per i vicoli di Ascona, per la soddisfazione di albergatori e ristoratori nostrani. Così come non avevano fatto fatica numerosi abitanti del Sopraceneri a iniziare una vita di pendolarismo che sì, richiedeva un sacrificio importante, ma d’altra parte offriva finalmente e in tempo reale una fetta di quella che è la grande torta delle opportunità professionali zurighesi anche a una parte dei ticinesi. Una situazione win win sotto ogni punto di vista.
Ma forse, a fare più male ancora è la voce «lontananza». Per sette anni ci eravamo sentiti indubbiamente un po’ più svizzeri perché più vicini alla nostra capitale, là dove si prendono le decisioni importanti e si determinano le sorti del Paese, ma anche là dove, come detto, finalmente ci si offrivano delle opportunità professionali che non prevedessero di rimanere un Wochenaufenthälter (residente settimanale) a vita, ossia di potere mettere al servizio le proprie competenze senza necessariamente rinunciare alla propria casa e magari anche alla famiglia. A un livello ancora più sottile, ma è sempre una semplice ipotesi, ci manca anche tutta una serie di valori, che per sette anni avevamo sentito più vicini, come lo slancio innovativo e un forte senso di appartenenza.
Da qualche giorno, seppur in quantità ridotta, i treni merci hanno ricominciato a transitare nella galleria est del tunnel di base, ma il traffico passeggeri è ancora affidato alla rotta panoramica, con una dilatazione dei tempi di percorrenza che ci ha riportati a un passato che credevamo dimenticato. Paradossalmente sarà dunque una grande boccata di ossigeno potere tornare sotto terra.

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