Il rischio di mistificare la realtà

by Claudia

Non solo in politica, ma anche in merito a temi centrali che riguardano riflessioni sociologiche: basta poco per trasformare un reportage in propaganda

Prendendo spunto dalla campagna per le prossime elezioni federali, abbozziamo una riflessione sui possibili legami tra fotografia e politica. E più precisamente in merito al loro legame, che si è concretizzato a partire da inizio Novecento, quando la fotografia ha cominciato a ricoprire un ruolo importante nell’ambito della comunicazione sociale, e se n’è colta la capacità nel determinare e orientare opinioni politiche. Proviamo allora a esaminare in che modo e sotto quali forme si manifesta tale legame, partendo proprio dalla situazione di una campagna elettorale. Dove la fotografia affianca – e se possibile, rinforza – i messaggi formulati verbalmente illustrando, in modo semplice, con immagini di facile lettura, i temi di cui le formazioni in lizza si fanno portatrici.
Una campagna elettorale con un’alta posta in gioco, come è il caso per delle elezioni federali o anche solo cantonali, non può prescindere da una regia professionale – composta da uno o più specialisti della comunicazione di massa – atta a proporre un’immagine che sia omogenea (per stili di ripresa, tagli di luce, colori, sfondi, eccetera) e il più possibile accattivante nella proposizione dei contenuti che una data formazione politica vuole trasmettere, caratterizzandola per poterla facilmente distinguere dalle campagne concorrenti.
Il suo obiettivo è sostanzialmente d’ordine propagandistico: il messaggio che veicola in fondo viene trattato come se fosse un qualsiasi prodotto di consumo da vendere, nel nostro caso al cittadino-elettore.
Al di fuori di un contesto elettorale, ma sempre nel segno della propaganda, possiamo includere anche certa fotografia documentaria che aspira a denunciare realtà problematiche, disturbanti – quando non propriamente illegali –, si tratti di realtà a noi lontane o semplicemente celate al nostro sguardo.
Se ben realizzati, questi servizi fotogiornalistici possono divenire dirompenti e – generando forti movimenti d’opinione – andare a incidere sull’andamento stesso delle realtà messe in luce. Diversi approfondimenti simili sono entrati a far parte della storia della fotografia: servizi che hanno trattato temi legati al lavoro, alla marginalità, alle guerre, ai dissesti ambientali, a soprusi e violazioni di vario genere. Come è purtroppo accaduto a parecchi giornalisti, va evidenziato che non pochi fotografi sono stati ammazzati proprio perché, con il loro lavoro di denuncia, hanno ostacolato lo svolgersi di logiche criminali.
Alcuni di questi reportage, o loro singole immagini, sono perfino divenuti iconici. Pensiamo al lavoro di Salgado sulle miniere a cielo aperto in Brasile – tanto duro nei contenuti quanto sontuoso nella forma. O all’immagine dell’uomo in piedi davanti a quattro carri armati in Piazza Tienanmen. Oppure alla foto della ragazzina vietnamita che, nuda e disperata, fugge dopo un bombardamento al napalm. O, ancora, a quelle scattate all’interno dei campi di sterminio nazisti nei giorni della loro liberazione… Sono certo che di alcune di queste immagini, avete voi stessi memoria, e forse anche di numerosi altri esempi. Tali fotografie, in virtù della loro grande forza emblematica, acquisendo quel valore simbolico, sono divenute parte del nostro immaginario collettivo .
Il passo dalla propaganda alla mistificazione può essere breve, e anche se quest’ultima trova terreno fertile soprattutto nei regimi totalitari, non si può che constatarne l’uso anche nell’ambito delle nostre preziose, ma sempre più fragili, democrazie. Magari – per tornare al discorso iniziale – proprio nel contesto di una competizione elettorale. Ma, di certo, non solo lì.
Con mistificazione intendiamo il lavoro di falsificazione della realtà attraverso l’alterazione consapevole della sua messa in scena (nel nostro caso, fotografica). Un modo di operare che, ipotizziamo, viene adottato quando alla posta in gioco viene attribuita una tale importanza da giustificare l’annichilimento della verità, il cui valore etico dovrebbe, invece, impregnare la comunicazione nei suoi vari aspetti.
Per quanto riguarda le immagini, è possibile alterarle intervenendo sui negativi, sulle stampe o, oggi, più facilmente, in postproduzione con Photoshop, per eliminare o aggiungere elementi che ne modificano il senso. Ma la falsificazione di un’immagine si può agevolmente operare anche trasformando con poche parole, con una semplice didascalia, la sua possibile lettura, la comprensione dei fatti descritti, l’identificazione del luogo e del tempo in cui sono accaduti.
Le rovine di un edificio distrutto da un terremoto, poniamo, con una breve frase possono diventare quelle di un edificio bombardato in modo criminale in un contesto di guerra. E così via. Chissà quante volte c’imbattiamo in questa sorta di falsificazione senza nemmeno rendercene conto. E purtroppo, questo problema di comunicazione mistificata oggi si è complicata ulteriormente con il progressivo affermarsi delle intelligenze artificiali nel processo di produzione d’immagini, capaci già da ora di creare ex novo e con grande perizia realtà inesistenti.
Un altro vivace punto d’incontro tra politica e fotografia lo troviamo frequentando sale di musei e di gallerie d’arte, quegli spazi in cui sempre più spesso vengono esposti anche lavori di fotografia contemporanea. Figlia di un’epoca portata in particolare alla critica dei modelli culturali e comportamentali dominanti, la fotografia che oggi raccoglie maggior consenso e legittimazione nel mondo dell’arte – fino a essere riconosciuta come uno tra i media più importanti di quel contesto – è quella che affronta le questioni definite come centrali nelle nostre società dalla riflessione sociologica, politica e filosofica.
Per farne un breve elenco, non di certo esaustivo, pensiamo alle questioni relative all’identità, ai generi, alla preservazione ambientale, al pensiero neo – e post – coloniale, alla virtualizzazione della realtà, dei rapporti sociali, oltre a quelle più classiche risultanti dall’analisi dei rapporti di potere, della gestione della violenza, delle marginalità, e così via.
Considerata la specifica creatività caratterizzante questo particolare ambito, come possiamo ben immaginare innumerevoli – e spesso sorprendenti – sono le modalità con cui le tematiche in questione vengono affrontate fotograficamente. E inutile sarebbe volerne fare un – peraltro impossibile – riassunto. Invito invece volentieri il lettore ad approfondire questo genere di fotografia attraverso sue personali letture e visitando con curiosità e attenzione le interessanti mostre allestite regolarmente ormai un po’ ovunque.